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di Sofia Li Crasti

La Stampa, 2 dicembre 2023

Il magistrato antimafia interviene al VII congresso annuale dell’Accademia Italiana di Scienze Forensi: “Intervengano gli addetti ai lavori. Necessario parlare con i giovani e studiare i loro profili social per fermare femminicidi e baby gang”. “Un dramma. Non ci sono parole per descrivere questa aberrazione”: è il commento di Nicola Gratteri, procuratore di Napoli, su quanto accaduto a Giovanbattista Cutolo, il 24enne ucciso a Napoli da una baby gang. E aggiunge un apprezzamento nei confronti del ragazzo, morto nel tentativo di sedare una rissa: “Ha fatto un gesto di eroismo sempre più raro nel nostro momento storico”.

Gratteri è intervenuto al VII congresso annuale dell’Accademia Italiana di Scienze Forensi, che ha preso il via ieri nella sala Arengario del Nuovo Palazzo di Giustizia di Napoli. Interrogato sulle recenti riforme della giustizia, e nello specifico sull’abbassamento dell’età imputabile -come richiesto dalla madre del giovane musicista ucciso - Gratteri risponde: “Quando parliamo di queste cose non possiamo dire sì o no, o si ha una visione, o si capisce di cosa c’è veramente bisogno e si fanno tante piccole, medie e grandi modifiche oppure facciamo degli spezzatini e addirittura squilibriamo quello che dovrebbe essere l’armonia di un impianto al codice penale o ordinamento penitenziario”. Si esprime anche sull’emergenza criminalità minorile che si registra a Napoli, sottolineando la necessità di “intervenire sulle concause” del fenomeno, per evitare di fornire “solo delle risposte parziali e che non hanno gli effetti sperati”. E aggiunge: “Penso che gli addetti ai lavori, quelli che nella vita hanno dimostrato di aver lavorato e di aver fatto, dovrebbero contribuire a fare dei progetti, a dare delle idee, a scrivere delle norme: abbiamo dimostrato che non basta stare al chiuso di una stanza dietro una scrivania, a conoscere tutta la dottrina del mondo”.

Negativo anche il parere sulle ultime riforme in materia: “Alla luce delle riforme che ho visto negli ultimi due anni, mi augurerei un fermo pesca. Mi augurerei che non si continui in queste riforme. Dalla Cartabia in poi, hanno determinato un rallentamento del processo, ma soprattutto la cosa più triste è che non sono state date le risposte che la gente e i fruitori di giustizia si aspettavano”.

Fondamentale, secondo Gratteri, è il monitoraggio dei social network: “Per noi sono una miniera e lo sono da tutti i punti di vista: per i genitori se vogliono capire i giovani e per gli investigatori se vogliono capire dove stanno andando le mafie”. Il magistrato antimafia ripercorre la storia dell’utilizzo dei social da parte delle gang mafiose, ricordando che i primi nel mondo a comprenderne le potenzialità “sono stati i cartelli messicani del Golfo e di Sinaloa: sono maestri della comunicazione, della strategia criminale, per avvicinare e avviluppare i giovani. Gli ultimi idioti, li chiamo io, i portatori di acqua al pozzo dei capo mafia”. Fenomeno che, secondo Gratteri, sta accadendo anche in Italia, “soprattutto in Campania e a Napoli, dove i figli dei camorristi si fanno vedere su macchine di lusso, con l’orologio d’oro, firmati e luccicanti come carretti siciliani, sembrano voler dire “Io sono il modello vincente. Vuoi diventare ricco come me? Allora vieni con me”. E intanto, dietro a queste false promesse, i giovani trasportano cocaina a Milano e spostano armi da un quartiere all’altro per conto delle mafie”. I social, per Gratteri, ricoprono dunque un ruolo fondamentale nell’identificazione e nella prevenzione delle mafie.

E interviene anche sul tema scottante e attualissimo del femminicidio; ancora una volta, l’approccio di Gratteri è estremamente pratico: “Inutile continuare a chiederci se c’è o non c’è il patriarcato: non perdiamo tempo, diciamoci invece cosa c’è da fare, cosa dobbiamo fare”. E aggiunge: “Oggi siamo tutti nel pallone sul tema della violenza sulle donne, e lo siamo perchè siamo in ritardo, sul piano piano culturale, sul piano dell’istruzione, sul piano della pianificazione e prevenzione. E tutti abbiamo sensi di colpa, nessuno può dire di non averli. Ognuno di noi sicuramente poteva fare qualcosa in più”. E ritorna, anche in questo caso, il ruolo essenziale dei social network come strumento d’analisi della gioventù e punto di vista per comprendere i problemi dei giovani: “Andiamo subito a studiare i profili di questi giovani, di questi ragazzi chiusi, che non parlano. Per me i più pericolosi sono quelli che stanno fermi come pietre, quelli che non hanno amici, quelli che escono dalla scuola e si chiudono in una stanzetta”. E, di nuovo, chiama in causa “gli addetti ai lavori”: “Gli insegnanti devono metterci il cuore, anche se sono pagati male, anche se non sono considerati sul piano sociale: devono parlare con questi giovani, altrimenti quello che abbiamo visto in televisione in queste ultime settimane non farà che ripetersi”.