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di Liana Milella

La Repubblica, 2 marzo 2023

Intervista a Margherita Cassano, prima presidente donna della Cassazione, che ricorda il padre magistrato antiterrorismo e i colleghi Vigna e Chelazzi. I femminicidi, “le leggi necessarie già ci sono”. Il calo di consensi della magistratura? “La giustizia non vive di applausi, ma della corretta applicazione delle regole proprie di uno stato di diritto”.

La separazione delle carriere? “La sensibilità sulla formazione della prova è fondamentale per impostare indagini complete anche con la ricerca di elementi favorevoli alla persona accusata”. Eccola, Margherita Cassano, ancora nella sua stanza di presidente aggiunto della Corte di Cassazione. La lascerà tra quattro giorni per quella di prima presidente. C’è un via vai di colleghi che le fanno gli auguri. E il telefono squilla di continuo. Questa con Repubblica è la sua prima intervista che rilascia dal momento - erano le 11 in punto - della sua elezione all’unanimità da parte del Csm, con gli auguri di Sergio Mattarella

“Avverto tutta la grande responsabilità che deriva da questo incarico. Non lo considero un traguardo individuale, ma collettivo, reso possibile dall’impegno di quanti, da tempo, si battono per l’effettiva parità di donne e uomini in tutti gli ambiti. In questo momento il mio pensiero va alle otto colleghe che nel 1965 vinsero per la prima volta il concorso in magistratura dopo che nel 1963 il Parlamento aveva approvato la legge che consentiva loro l’accesso. Intervenuta a distanza di tre anni dalla dichiarazione di incostituzionalità da parte della Consulta nel 1960, della legge che non consentiva l’accesso delle donne alla magistratura e ad altri uffici pubblici”.

Marta Cartabia, nel 2019, ha rotto quello che lei chiamò “il tetto di cristallo” che fino a quel momento aveva impedito a una donna di diventare presidente della Consulta. Adesso anche lei raggiunge una vetta importante. Giusto mentre una donna, Giorgia Meloni, è la premier italiana e un’altra donna, Elly Schlein, diventa segretaria del Pd. È finita per sempre la “seconda fila” per le donne?

“In questo momento innanzitutto vorrei ricordare che abbiamo donne presenti anche in altri ambiti, Silvana Sciarra presidente della Corte costituzionale, l’avvocata Maria Masi al vertice del Consiglio nazionale forense, l’avvocata Gabriella Palmieri Sandulli a capo dell’Avvocatura dello Stato. Tutte presenze importanti al pari di tante altre, espressione di un mutamento culturale in atto nella nostra società che si arricchisce del contributo di uomini e di donne le cui diverse sensibilità possono favorire una più efficace dialettica, il fondamento di ogni democrazia”

Però i femminicidi e le violenze vanno avanti. Ben 125 omicidi l’anno scorso. Quindi sul fronte della violenza dei maschi contro le donne non è cambiato nulla...

“Il problema della violenza contro le donne è innanzitutto culturale e richiede l’impegno di tutte le formazioni intermedie, di cui parla proprio l’articolo 2 della nostra Costituzione, a partire dalla famiglia, dalla scuola, dai circoli culturali, e da tutti quei luoghi in cui si esprime la nostra socialità. Di fronte a manifestazioni così gravi e odiose di violenza a danno delle donne l’azione della magistratura interviene nelle situazioni patologiche in cui non hanno funzionato tutti gli strumenti di prevenzione, in primo luogo culturale, che devono doverosamente operare”.

Quindi non è solo una questione di leggi più restrittive?

“Il nostro ordinamento può già contare su un impianto normativo molto ricco, che recepisce le varie convenzioni e le direttive emanate. Si tratta di dare piena effettività alle leggi che già esistono, attraverso gli strumenti in atto, la specializzazione dei magistrati requirenti e delle forze dell’ordine, l’adozione di protocolli per assicurare la tempestività dell’intervento, il rispetto dei criteri di priorità per celebrare in dibattimento questi processi, secondo le regole dello Stato di diritto. Magistratura e forze dell’ordine non possono farcela da sole. Il loro intervento dev’essere preceduto da un’efficace azione di prevenzione”.

In Italia il consenso verso la magistratura cala di anno in anno. Siamo molto lontani dagli applausi di Mani pulite. C’è una via per interrompere questa caduta ormai verticale seguendo i moniti di Mattarella?

“Nella mia esperienza, la stragrande maggioranza dei magistrati italiani fa il loro lavoro con assoluta dedizione e serietà. I rapporti tra cittadini e istituzioni, quella giudiziaria compresa, vivono dell’impegno quotidiano nelle aule di giustizia, dove i giudici devono non solo applicare le norme, ma ascoltare le persone, rispettandole in una dialettica proficua con l’avvocatura, altro protagonista ineliminabile della giurisdizione. La giustizia non vive di applausi, ma si alimenta della razionalità e della corretta applicazione delle regole proprie di uno stato di diritto”.

A Piacenza il quotidiano “la Libertà” ha pubblicato in prima pagina la foto di otto pensionati che sono tornati a palazzo di giustizia perché manca il personale. È mai possibile che la giustizia funzioni così, con i tribunali che cadono a pezzi?

“Quella testimonianza è bellissima perché dimostra l’attaccamento alle istituzioni ed è proprio quello che io stessa ho sperimentato a Firenze quando, in Corte di Appello, potevo contare su un gruppo di 20 volontari provenienti da forze dell’ordine in congedo e dalla polizia municipale. La loro presenza era il segno della continuità e della collaborazione che dev’esserci tra i magistrati, il personale amministrativo, i tirocinanti, gli addetti all’ufficio per il processo”.

I tempi della giustizia purtroppo sono sempre lunghi. Cosa chiederebbe al ministro Carlo Nordio come massima urgenza da risolvere?

“Innanzitutto penso che al ministro si debbano rivolgere le istituzioni attraverso i loro rappresentanti all’esito di un confronto anche con tutti gli uffici. Non credo in istanze formulate singolarmente, ma in richieste fatte dopo un’attenta verifica, prima di tutto all’interno della magistratura. Al Guardasigilli spetta, per espressa previsione costituzionale, assicurare l’organizzazione del servizio e quindi un reclutamento costante dei magistrati e del personale amministrativo, l’attenzione alla riqualificazione professionale, l’innovazione e la transizione digitale della giustizia e la vigilanza affinché gli edifici giudiziari rispettino gli standard di sicurezza richiesti dalle leggi vigenti”.

Lei è stata pm ma anche giudice, cosa pensa della separazione delle carriere?

“Per la formazione di un magistrato, secondo me, è fondamentale la poliedricità delle esperienze professionali sia requirenti che giudicanti. La sensibilità sulla formazione della prova è fondamentale per impostare indagini complete anche con la ricerca di elementi favorevoli alla persona accusata, in grado di rispettare la prognosi di colpevolezza richiesta dalla riforma Cartabia”.

Lei è figlia di un magistrato famoso, Piero Cassano, per i suoi processi contro il terrorismo a Firenze, è stato il primo a condannare Curcio. In una situazione difficile come quella di oggi quella figura che strada le consiglia?

“Mio padre ha incarnato, dal mio punto di vista di figlia, la figura del magistrato ideale per rigore morale e indipendenza di giudizio e riservatezza della sua vita. Mio padre e mia madre mi hanno sempre sollecitato ad aprirmi al mondo e ad avere una costante attenzione verso gli altri. E hanno sempre stimolato me e mia sorella Alessandra alla conoscenza e soprattutto a una grande attenzione verso gli altri nella consapevolezza che ciascuno di noi cresce e matura grazie al proprio prossimo”.

Lei cita sempre una frase che era solito ripeterle suo padre. Ce la ricorda?

“Era questa: “Lascia che siano le cose a venire incontro a te, non essere tu a cercarle”. L’insegnamento che ho tratto da qui è l’attenzione ai segni dell’esistenza per capire qual è il cammino da seguire. Come diceva Machado “la strada si fa camminando”“.

Quando ha deciso che voleva seguire le orme professionali di suo padre e fare la magistrata?

“In realtà, l’ho scelto per caso, perché all’università avrei voluto studiare filologia classica, ma poi come tanti giovani mi sono iscritta a giurisprudenza. Grazie a un bravissimo assistente di diritto privato, Giorgio Collura, poi divenuto professore ordinario, e alle letture di ampio respiro che lui suggeriva, ho compreso il significato più profondo del diritto e ho poi seguito questa strada con convinzione”

Firenze, gli anni di Vigna e Chelazzi. Come hanno segnato la sua vita personale e professionale?

“Sono stati due maestri ineguagliabili per la loro razionalità, la passione per il proprio lavoro, la grande cultura. Vigna era laureato in filosofia prima che in legge, e Chelazzi è stato l’antesignano del tema della prova scientifica nel processo penale”.

Gli anni duri delle indagini di mafia. Lei era a Firenze nel 1993 quando esplose la bomba a via dei Georgofili?

“Sì, c’ero. Ricordo benissimo quella notte perché sentii perfettamente l’esplosione e il giorno dopo ci rendemmo conto, andando sul luogo, del disastro e della tragedia. Non possiamo dimenticare che Chelazzi ha dato la sua vita per riuscire a ricostruire la dinamica dell’attentato spendendo tutte le sue forze fino al sacrifico personale”.

Cosa fa quando non lavora?

“Ho molti interessi e sono convinta che un bravo magistrato sia quello che coltiva la conoscenza del mondo anche in altre forme. Amo la lettura, vado molto al cinema e ho una grande passione per la musica classica. Finché è stato possibile ho viaggiato in varie parti del mondo e questo mi è servito per capirlo meglio”.

Ha visto come alcune donne stiano lasciando incarichi di prestigio per rivalutare il tempo per sé e per gli affetti? Ha mai pensato di farlo?

“Sì, ci ho pensato durante il periodo in cui ho assistito mia madre che è mancata nel dicembre scorso, perché in quei momenti ci si rende conto di quanto possa essere difficile conciliare il lavoro con gli affetti”.