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di Errico Novi

Il Dubbio, 20 febbraio 2024

La confusione sugli obblighi dei dirigenti è tra i fattori che hanno accresciuto il potere dei giudici: un’altra riforma nella scia dello stop ad abuso d’ufficio e abusi dei pm. È un’iniziativa settoriale. Molto tecnica. E in apparenza sganciata dal cuore del dibattito sulla politica giudiziaria. Eppure il progetto di revisione del decreto legislativo 231 sulla responsabilità amministrativa di enti e imprese nasconde risvolti dal significato più generale, che forse solo gli addetti ai lavori possono comprendere. Questioni che non riguardano solo ambiti delicatissimi come le morti nei cantieri, o in generale la tutela a cui chiunque ha diritto in qualsiasi contesto produttivo.

C’è anche un aspetto relativo alla giurisdizione, alle perseguibilità degli illeciti commessi dalle imprese. Si tratta di un campo vasto, che incrocia diversi livelli giuridici, e mette in questione naturalmente il ruolo della magistratura rispetto al comportamento degli imprenditori. Intanto, va chiarito che, se oggi il ministro della Giustizia Carlo Nordio avverte l’urgenza di tornare sul decreto legislativo 231 del 2001 con un restyling, è anche perché si tratta di una materia che la consueta bulimia normativa ha trasformato in un compendio di disposizioni stratificate, a volte confuse, di sicuro difficilmente leggibili per gli operatori economici, vale a dire i principali destinatari della disciplina. E, spiegano gli esperti, in quella confusione le irregolarità sono più difficilmente evitabili.

Semplificare, codificare meglio, sbrogliare la matassa dei rimandi legislativi (da ultimo il 231 è stata modificato con ben due Dl del 2023, il 68 e il 105): la commissione nominata col decreto firmato lo scorso 7 febbraio da Alberto Rizzo, capo di gabinetto di via Arenula, dovrà raggiungere gli obiettivi appena elencati. Non si tratterà di elaborare una proposta generica, da tradurre materialmente in articolato solo in seguito, da parte degli uffici legislativi di Giustizia e di Palazzo Chigi: i tecnici scelti da Nordio dovranno scrivere loro stessi la bozza del provvedimento. E formalmente potrebbe trattarsi di un disegno di legge, di una proposta costruita perché la si possa discutere in Parlamento, ma già orientata verso i chiari obiettivi di cui sopra, a cominciare dalla intelleggibilità del diritto.

Ora, della commissione, un po’ in controtendenza rispetto a quanto di solito avviene nei gruppi di studio ministeriali, c’è un cero equilibrio fra togati e laici: su 10 componenti, 4 sono magistrati, 3 sono avvocati “puri” (Massimiliano Annetta di Firenze, Luigi Giarratana di Bari e Andrea Milani di Torino), c’è il vicecapo del Legislativo di Nordio, il professor Nicola Selvaggi, e poi il presidente dei giuristi d’impresa Giuseppe Catalano e un’altra docente universitaria, Rosita Del Coco. In questo caso non si tratterà di contrapporre diverse scelte di merito: la traccia del riordino è già segnata. E in sé l’obiettivo è uno di quei tasselli in grado di riportare la politica nel corretto equilibrio con il potere giudiziario: stop alla deresponsabilizzazione del legislatore che lascia alla magistratura la libertà di interpretare e decidere, piuttosto un legislatore che si riprende il proprio ruolo e riconduce quello dei giudici a un controllo di legalità incisivo ma dall’orizzonte prevedibile.

Sembra che una materia del genere sia poco affine all’abrogazione dell’abuso d’ufficio o alle nuove norme sul sequestro dei telefonini, che obbligano i pm a farsi autorizzare dai gip. E invece l’idea di un ordine giudiziario autorevole ma non debordante, forte ma non privo di controlli, è un unico obiettivo in cui convergono tanti fattori. Persino il ritorno a una disciplina sulla responsabilità delle imprese più chiara e perciò più efficace. E non si tratta di deregolamentare, è giusto ripeterlo, ma di accedere con immediatezza a diritti e doveri.

Un’esigenza particolarmente avvertita dalla stessa avvocatura, chiamata a tutelare lavoratori e imprese. A cominciare dai primi, per i quali la vita è sospesa anche al rispetto delle regole in materia di sicurezza nei luoghi di produzione, tema risvegliato dalla tragedia nel cantiere Esselunga di Firenze. In proposito, è il caso di citare la nota diffusa ieri dall’Ordine degli avvocati fiorentini, che nell’esprimere il loro cordoglio ricordano: “Morire di lavoro è una sconfitta per ogni società civile e per i diritti delle persone”. Sono chiari i pericoli legati anche a una legislazione indecifrabile. Rimuoverla è un dovere. Ma anche una strada per ripristinare l’equilibrio dei ruoli fra chi decide, la politica, e chi giudica, i magistrati.