di Alessandra Ricciardi
Italia Oggi, 8 febbraio 2023
Così Claudio Martelli, ex ministro della Giustizia. “Se non ci fosse stata l’uccisione di Paolo Borsellino e della sua scorta non so se il Parlamento avrebbe mai approvato la conversione in legge del 41 bis. La strage di Capaci non era bastata”. Claudio Martelli, storico esponente del Psi, era Guardasigilli quando, all’indomani delle stragi del 1992, fu istituito il 41 bis per i mafiosi.
“Non si tratta di una misura punitiva, ulteriormente afflittiva rispetto alla pena da scontare, che sarebbe incostituzionale, ma di una misura preventiva il cui scopo è recidere i rapporti tra i mafiosi detenuti nelle carceri e la loro organizzazione fuori dal carcere. È per questo che la proposi. Erano gli anni in cui i boss comandavano dalla galera, ordinavano omicidi, governavano i loro affari, combattevano lo Stato”.
E sul caso dell’anarchico Cospito, Martelli oggi dice: “Si può accettare di discutere o abrogare una legge perché c’è un detenuto in sciopero della fame? Io sono perplesso. Cospito non chiede che siano riviste le misure a cui è sottoposto ma che il 41 bis sia eliminato per tutti”.
Il decreto legge istitutivo del 41 bis fu approvato dal consiglio dei ministri a tempi di record, l’8 giugno 1992, dopo sedici giorni dalla strage di Capaci in cui perse la vita Giovanni Falcone con la moglie e la scorta. Il percorso parlamentare di conversione in legge invece non fu affatto agevole...
La legge fu approvata definitivamente il 6 agosto, con voto di fiducia. Il dibattito in Parlamento fu costellato dai pronunciamenti contrari dei gruppi del Pds e della Dc. Entrambi trovavano che il provvedimento non fosse approvabile perché anticostituzionale. Introduceva, era l’accusa, un regime carcerario diverso per i detenuti di mafia rispetto agli altri.
Quando cambiarono le cose?
Il 19 luglio 1992, con l’attentato di via D’Amelio in cui persero la vita il magistrato Paolo Borsellino e i cinque agenti della scorta. Quel giorno caddero tutte le resistenze, o quasi tutte. La strage di Capaci non era bastata. E francamente non so se senza via D’Amelio si sarebbe mai arrivati ad approvare il 41 bis. L’assassinio di Borsellino suscitò un’ondata di sdegno e la voglia di riscatto dello Stato e del Parlamento.
Nei mesi precedenti vi era stato anche lo sciopero dei magistrati contro l’Antimafia...
L’Antimafia è la creatura a cui Falcone e io avevamo lavorato per rafforzare, attraverso il coordinamento dell’attività delle procure, la lotta alla mafia. Evidentemente l’Associazione nazionale magistrati giudicava più pericolosi Falcone e Martelli che non la mafia.
Il dibattito circa la costituzionalità di un regime più restrittivo, a parità di pena, per alcuni detenuti rispetto ad altri è ancora oggi d’attualità...
È una questione di principio che si pose già nel 1992, capire se possa esservi un doppio regime carcerario tra i detenuti normali e quelli per i reati di stampo mafioso. Io ne parlai con l’allora presidente della Corte costituzionale il quale ragionò che se il provvedimento avesse avuto una durata limitata, motivata dalla necessità di affrontare l’emergenza mafiosa, i problemi di costituzionalità relativi a una possibile discriminazione potevano essere risolti. E in effetti la legge sul 41 bis prevedeva un ricorso alla misura limitato nel tempo. Poi è stata rinnovata fino a quando, su proposta del ministro della giustizia Angelino Alfano, non si decise di renderla permanente. Esistono anche altri paesi, come gli Usa, in cui la legislazione prevede regimi carcerari speciali a seconda della pericolosità dei detenuti e di questo nel dibattito va tenuto presente.
Cosa risponde a chi accusa il 41 bis di essere una misura peggiorativa delle condizioni di vita del detenuto?
Il 41 bis non è una misura punitiva, sarebbe altrimenti incostituzionale, è una misura preventiva, il cui scopo è recidere i rapporti tra detenuti mafiosi nelle carceri e tra loro e le organizzazioni fuori dal carcere. È per questo che la proposi. Erano gli anni in cui i boss comandavano dalla galera, ordinavano omicidi, governavano i loro affari, combattevano lo Stato.
Eppure la legge nel 1992 era a tempo...
L’ostacolo costituzionale è stato superato perché la diversità di trattamento è giustificata dal fatto che siamo davanti a rischi concreti per l’ordine e di sicurezza pubblica ed è a questi parametri che anche la durata della restrizione delle garanzie è parametrata. Il 41 bis inoltre non è un carcere duro, che è afflittivo, punitivo, e questo sarebbe incostituzionale perché l’obiettivo della pena la rieducazione e la riabilitazione della persona e non la sua ulteriore afflizione rispetto alla pena da scontare. Si tratta di un regime di isolamento in cui anche i colloqui con i parenti o gli avvocati vengono ridotti e avvengono in condizioni particolare proprio per evitare che arrivino indicazioni all’esterno. Il boss in carcere non deve poter continuare a delinquere, come accaduto invece fino agli anni 90.
Contro il 41bis si stanno aggregando, intorno agli anarchici, gruppi di antagonisti, centri sociali, anche collettivi studenteschi, black bloc, ecologisti. Il dissenso sta assumendo forme nuove?
Inviterei a non confondere fenomeni diversi. E non so quale sia oggi la pericolosità degli anarchici. Mi chiedo però se si possa accettare di discutere o abrogare una legge perché c’è un detenuto in sciopero della fame. Io sono perplesso.
Stiamo parlando dell’anarchico Alfredo Cospito...
Cospito è in sciopero della fame non perché siano riviste le misure a cui è sottoposto, che sarebbe legittimo, ma perché il 41 bis sia eliminato per tutti. La stessa richiesta che giunge dai boss mafiosi.
A 30 anni dalle stragi, il 41 bis ha ancora senso?
Andrebbe chiesto ai magistrati di sorveglianza, alla direzione Antimafia. Stando a quanto dicono gli esperti, mi pare che la risposta debba essere affermativa. Ma anche il Parlamento dovrebbe dire la sua: se qualcuno ritiene che la misura sia superata dovrebbe avere il coraggio di discuterne, di aprire un confronto, laicamente, senza tabù.