sito

storico

Archivio storico

                   5permille

   

di Federica Graziani

Il Dubbio, 2 luglio 2022

“Abolire il carcere” di Luigi Manconi, Stefano Anastasia, Valentina Calderone, Federica Resta, edito da Chiarelettere, non somiglia in niente alla gran parte dei saggi italiani che circolano oggigiorno. Al posto delle dispute di scuola, l’osservazione diretta della realtà di cui si scrive.

Al posto delle descrizioni scorate e orfane di pars costruens un decalogo di proposte cui manca solamente la buona volontà per essere applicate. Al posto di una sola voce, e gravata dai dettagli biografici, quattro autori che si avvicendano nei diversi capitoli in modo indistinguibile ma contribuendo ognuno con un’ottica e una professionalità sue alla tesi condivisa.

Questo carattere anomalo di “Abolire il carcere” viene fuori proprio dal genere “ibrido” di cui il libro è esempio. Tra il saggio filosofico e il racconto storico, tra il reportage e il manuale d’istruzioni, tra la monografia giuridica e il libello polemico, sono tanti i fili che si possono tirare dalla lettura. E tutti quei fili precipitano intorno alla tesi, perentoria fin dal titolo, che il carcere si possa e si debba abolire, che si tratta di un orizzonte non solo auspicabile ma anche possibile.

Una tesi che purtroppo si scontra con l’abito mentale che vuole la prigione come un luogo ineluttabile, innanzitutto dimostrando una verità tanto evidente quanto misconosciuta: il carcere così com’è nelle nostre società non funziona allo scopo che si prefigge: la rieducazione del detenuto e il suo reinserimento nella vita collettiva.

Con le loro stesse parole: “Il carcere non costituisce un efficace strumento di punizione, dal momento che quanti vi si trovano reclusi sono destinati in una percentuale elevatissima, più del 68 per cento, a commettere nuovi delitti”. E per dimostrare quanto e come il carcere sia inutile, i quattro autori procedono lungo i capitoli del saggio con una strategia argomentativa da veri e propri illuministi.

In principio sfatano il mito che il carcere sia sempre esistito, indagando la storicità della pena detentiva. Poi confrontano i differenti principi costituzionali che reggono il nostro sistema delle pene con le condizioni concrete della vita negli istituti penitenziari: con le carenze strutturali degli edifici, con la mancanza cronica di operatori qualificati e di attività risocializzanti, con la scarsità di opportunità formative e lavorative, con l’assenza di una reale presa in carico da parte dei servizi sul territorio e di percorsi individuali, con la composizione della popolazione carceraria rappresentata, per la maggior parte, da poveri, tossicomani, stranieri. E infine i quattro autori stendono il loro programma minimo di modifiche al sistema penale e penitenziario.

Dieci cose da realizzare subito, dieci presupposti per un percorso di avvicinamento all’abolizione definitiva del carcere, dieci proposte concretissime che vanno dal superamento dell’ergastolo alla riduzione della carcerazione preventiva, dalle misure alternative alla detenzione fino alla soppressione della detenzione minorile.

Ma non solo. Il libro, in questa nuova edizione aggiornata, contiene anche il racconto del carcere durante l’emergenza della pandemia di Covid 19.

Si racconta della “mattanza della settimana santa”, dal nome dell’indagine scaturita dalle prime denunce della violenza massiccia e organizzata a opera di centinaia di agenti e funzionari di polizia penitenziaria ai danni dei detenuti del carcere di Santa Maria Capua Vedere il 6 aprile 2020.

E si racconta anche della morte di Stefano Cucchi, dei fatti di Asti, della vicenda di Rachid Assarag. È proprio in questi passaggi che il tono del libro cambia. È qui che le buone ragioni per l’abolizione ordinate fino a questo punto svelano l’urgenza etica degli autori. I quali scrivono perché vogliono rispondere alla sofferenza altrui, svelandone l’assurdità e limitandola, come possono.