di Paola Rossi
Il Sole 24 Ore, 2 aprile 2020
Corte di cassazione - Sezione V penale - Sentenza 1° aprile 2020 n. 10967. Non scatta la diffamazione a mezzo stampa per l'accostamento della foto di un professionista a una notizia che non lo riguarda, se dal combinato di titolo, didascalia e contenuto del pezzo si evince chiaramente la sua estraneità alla vicenda raccontata dal giornalista. Così la Corte di cassazione penale, con la sentenza 10967 di ieri, ha accolto il ricorso dell'ex direttore de "La Repubblica" che era stato condannato nel 2017 per l'omessa vigilanza su un pezzo di una giornalista del quotidiano corredato di foto.
Il fatto - L'articolo incriminato riportava la notizia della condanna di un medico, a fronte della posizione dell'Ordine di appartenenza, per la diffusa cattiva prassi di rilasciare diagnosi e certificati medici in base a consultazioni solo telefoniche con il proprio assistito. Il pezzo veniva corredato con foto che ritraeva un professionista intento a osservare la lastra radiografica di un paziente senza citarlo per nome e cognome e, anzi, vi veniva accostata una didascalia che riferiva della reazione dell'ordine professionale contro la diffusa prassi di certificare stati morbosi in assenza di visita diretta del richiedente la certificazione.
Il medico ritratto nella foto era stato avvisato della circostanza da un suo paziente che lo aveva riconosciuto. Da qui la querela per diffamazione contro giornalista e direttore. Tribunale e Corte di appello hanno confermato la responsabilità penale fondandosi sul concetto di lettore medio assimilato però a quello di "lettore frettoloso", che cioè scorre solo titoli e immagini del giornale che consulta, con la conseguenza di essere indotto a ritenere conferente l'elemento visivo con la titolazione degli articoli. Accostamento che, però, in tale circostanza la Cassazione considera incongruo in quanto l'articolo non era "sparato" in prima pagina determinando già un'attenzione superiore al concetto di fretta, in chi sfoglia anche l'interno di un quotidiano.
L'assoluzione - Per la Cassazione, al contrario, in questa vicenda emergono diversi aspetti che conducono a scriminare il comportamento giornalistico e, in primis, l'aspetto della contestualizzazione di ogni singolo elemento che compone un servizio giornalistico. Infatti, in tale vicenda nulla porta a far ritenere che il medico nella foto fosse quello oggetto di condanna e di reprimenda professionale, a maggior ragione dal contrasto tra un titolo che parla di diagnosi al telefono e l'immagine di un medico che osserva con scrupolo l'esame diagnostico di un paziente. Tra gli altri fattori scriminanti la Cassazione indica: la mancanza di notorietà dello specifico professionista, che poteva quindi essere riconosciuto solo dalla ristretta cerchia dei propri conoscenti e pazienti, persone cioè dotate di conoscenza diretta della persona. E che se mossi a curiosità dall'immagine del medico riconosciuto avrebbero letto che la vicenda riportata non lo riguardava affatto.
L'alt della Cassazione - I giudici di legittimità bacchettano però - anche se solo come negligenza scusabile - il comportamento del giornalista che accosta, come nel caso specifico, una foto tratta dall'archivio del proprio giornale, a un articolo diverso e successivo a quello per cui la persona ritratta aveva rilasciato il consenso all'uso. L'acquisizione di un'immagine col consenso dell'interessato non costituisce una liberatoria sine die al suo utilizzo a mezzo stampa.