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di Ilaria Sacchettoni

Corriere della Sera, 27 novembre 2023

Incarcerato nel 1991 sulla scorta della testimonianza del genero della principale vittima del massacro del Sinnai e scarcerato perché la testimonianza fu estorta. “Tanti innocenti dentro”. “In questi trentadue anni ho imparato che non sono l’unico innocente - dice Beniamino Zuncheddu. In carcere, anche nel mio carcere, quello di Uta, ci sono altri uomini ingiustamente dentro e purché uno abbia voglia di leggersi davvero le carte allora la verità può venire fuori”. La detenzione.

L’arresto. Il grande “nemico”, Mario Uda. Il giorno dopo la scarcerazione, Zuncheddu parla. E la racconta così con disarmante semplicità. Perché Beniamino non ha parole da sperperare. Le poche che aveva gli sono servite in questi anni e forse sono state l’unico tesoretto al quale attingere: “Dentro si pensa a tante cose ma per sopravvivere ho dovuto rinunciare a molte cose. Scoraggiavo i miei stessi progetti, mi ripetevo: Beniamino non sognare”.

Incarcerato nel 1991 sulla scorta della testimonianza del genero della principale vittima di questa storia tuttora da esplorare, Luigi Pinna, e scarcerato perché la testimonianza fu estorta. Pilotata dal dirigente di polizia Mario Uda che, come ha ricostruito un’inchiesta bis, mise in mano al testimone chiave del massacro di Sinnai, la foto di Zuncheddu, un servo pastore con la seconda media chiedendogli implicitamente di indicarlo quale responsabile del triplice omicidio all’epoca irrisolto. Trentadue anni fa era un uomo libero, Beniamino. “Ricordo ancora quel giorno. Era pomeriggio e io ero tornato dal lavoro. Ricordo che mi ero fatto una doccetta per poi uscire in paese. Non avevo la fidanzata ma dopo il lavoro facevo sempre due passi. Bussarono alla porta di casa e mi dissero “Dobbiamo fare qualche verifica, ci aiuta?”. Non avevo nulla da nascondere. Mi misi a disposizione. Non potevo immaginare”.

Miracolo a Burcei: domenica sera amici e parenti riuniti attorno a una tavolata in cui spicca il protagonismo di un maialino arrosto. C’è Augusta, sorella di Beniamino, c’è lui stesso e c’è Mauro Trogu, il giovane difensore che lo assiste dal 2016. Così in questo paesino del cagliaritano rivive il presepe che non ti aspetti. “I miei compagni di cella sapevano la verità - continua lui - Mi spiace solo non essere riuscito a salutarli tutti. Molti di loro erano in permesso e non erano ancora rientrati in quel momento”.

Sabato 25 novembre Beniamino torna nel penitenziario dopo il lavoro (al mattino, tutte le mattine, è dietro alla macchina del caffè in un locale al centro di Cagliari: Le Bon Bec Cafè) e pranza come al solito. Si avvicina un agente della polizia penitenziaria che ha in mano un foglio e gli dice brusco: “Beniamino perdi ancora tempo? Devi uscire”.

Oggi lui la racconta così, sorridendo: “Non potevo crederci e gli ho detto di non prendersi gioco di me. Ora so che avevo torto e che lui, invece, aveva ragione”. Il vocio di sottofondo denuncia una serata come non ne capitavano da tempo in casa Zuncheddu. Augusta, il vero motore della serata impiatta e sorride. Un’ultima cosa Beniamino: che direbbe a Uda trovandoselo di fronte?

“Gli chiederei perché proprio io. “Perché a me, cosa ti avevo fatto?” domanderei. Me lo sono chiesto in tutti questi anni. Non ho mai fatto male a una mosca. Ma forse ero l’uomo semplice da incastrare”. C’è ancora un’incognita da spazzare via. I giudici della Corte d’Appello devono decidere in merito alla revisione processuale del massacro del Sinnai. Il 19 dicembre è prevista la discussione. Ma stasera, nel vociare allegro di Burcei, tutto pare lontano.