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di Patrizia Maciocchi

Il Sole 24 Ore, 28 agosto 2024

La Corte di cassazione esclude l’autonoma ricorribilità dell’ordinanza. L’ordinanza di rigetto della richiesta di accesso ai programmi di giustizia riparativa è giuridicamente ininfluente sugli esisti del processo. Per questo può essere impugnata insieme conia sentenza solo nel caso di reati perseguibili a querela soggetta a remissione o se la richiesta è stata presentata dall’imputato. La Cassazione con la sentenza 33152, depositata ieri, chiarisce che solo in queste ipotesi, il giudice può disporre la sospensione del processo “al fine di consentire lo svolgimento di programmi di giustizia riparativa”.

La Suprema corte respinge così il ricorso contro il no all’accesso al beneficio nell’ambito di un procedimento per associazione a delinquere finalizzata a compiere reati tributari. Ad avviso della difesa, il no alla giustizia riparativa malgrado il parere positivo del Pm, basato su una prognosi sfavorevole in merito al pericolo di commettere altri reati, era illegittimo. Il ricorrente aveva dunque sottolineato “che la possibilità di accedere ai percorsi di giustizia riparativa, siccome in grado di influire sulla decisione del processo principale, costituisce un diritto di intervento dell’imputato e che l’erronea frustrazione di tale diritto configura una nullità di ordine generale”.

Una tesi del tutto disattesa dei giudici di legittimità, che escludono l’autonoma impugnabilità dell’ordinanza di rigetto, in nome della tassatività dei mezzi di impugnazione, e circoscrivono i casi in cui la decisione è impugnabile insieme alla sentenza. Ritenere che il diniego possa influire in modo giuridicamente apprezzabile sull’esisto del processo, vuol dire - precisala Corte - introdurre un obbligo di sospensione del processo penale non previsto dal Codice di procedura né da altre specifiche disposizioni di legge.