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di Francesco Machina Grifeo

Il Sole 24 Ore, 8 marzo 2024

Lo ha chiarito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 9705 depositata oggi, respingendo il ricorso di un uomo. La sentenza di non doversi procedere per mancata conoscenza del processo da parte dell’imputato, prevista dalla riforma Cartabia del codice di procedura penale, non può applicarsi anche al caso di chi lamenti la mancata conoscenza dell’appello. Lo ha chiarito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 9705 depositata oggi, respingendo il ricorso di un uomo.

Secondo il ricorrente la Corte di appello non avrebbe considerato le note scritte difensive con le quali si sottolineava la dichiarazione di irreperibilità dell’imputato, mentre avrebbe dovuto emettere sentenza di non doversi procedere per mancata conoscenza della pendenza del processo, ai sensi dell’articolo 420-quater cod. proc. pen.

Una tesi però bocciata dalla Suprema corte. La Terza sezione penale ricorda che l’articolo in questione è stato radicalmente modificato dal Dlgs 30 ottobre 2022, n. 150 che ha introdotto nell’ordinamento “l’innovativa sentenza di non doversi procedere per mancata conoscenza della pendenza del processo da parte dell’imputato, che il giudice dell’udienza preliminare pronuncia se questi non è presente e fuori dei casi previsti dai precedenti articoli 420-bis (assenza dell’imputato) e 420-ter (impedimento a comparire dell’imputato o del difensore). Ebbene, prosegue la Corte, la stessa disposizione non è riferibile al caso di specie”.

La norma infatti presuppone che l’imputato non abbia mai avuto alcuna informazione circa la pendenza del processo, “solo così giustificandosi, per un verso, l’emissione di una sentenza di non doversi procedere (non già di una ordinanza di sospensione del giudizio) e, per altro verso, il carattere inappellabile della stessa decisione”. Tale scelta, argomenta la Corte, “appare giustificarsi soltanto in presenza di un radicale vizio di conoscenza del processo, quale fase di giudizio successiva alla conclusione delle indagini preliminari, tale da non consentirne la legittima celebrazione per come riscontrato dal giudice con insindacabile accertamento di merito”.

La ratio si fonda dunque sul binomio “conoscenza del processo/effettività del diritto di difesa” (articolo 6, par. 3, CEDU), ragion per cui ecco l’articolo 420-quater cod. proc. pen. non può trovare applicazione nel diverso caso in cui il difetto di conoscenza riguardi l’esistenza non di un processo ma soltanto di una fase o di un grado del processo stesso, la cui pendenza, comunque, sia conosciuta dall’imputato.

E proprio questa seconda ipotesi, prosegue la Corte, si riscontra nel caso di specie, nel quale l’effettiva conoscenza del processo da parte del ricorrente non è revocabile in dubbio. Del resto, la manifesta infondatezza della richiesta contenuta nelle note difensive, “emerge dalla fase processuale in cui l’applicazione della norma in esame è stata sollecitata, ossia il giudizio di appello”. L’articolo 420-quater, infatti, è collocato nel Titolo IX del Libro V, in tema di udienza preliminare. Ed è in quella prima fase processuale, dunque, che il giudice è tenuto a verificare se l’imputato deve essere dichiarato assente, al fine di evitare chi il giudizio si instauri con un evidente vizio. La norma in esame, per contro, non trova applicazione nel giudizio di appello introdotto dall’imputato.

“Per espressa previsione normativa, dunque - si legge nella decisione -, nel giudizio di appello non è comunque prevista la pronuncia della sentenza in questione, in quanto - presupposta la conoscenza della pendenza del processo, già accertata in udienza preliminare o, qualora non celebrata, negli atti introduttivi del giudizio di primo grado - l’imputato non presente è sempre giudicato in assenza (se appellante ed in presenza di regolare notifica del decreto di citazione), oppure il processo viene sospeso e vengono ordinate le ricerche dell’imputato (se non appellante ed in mancanza delle condizioni per procedere in assenza ai sensi dell’art. 420-ter cod. proc. pen.)”.