sito

storico

Archivio storico

                   5permille

   

di Valter Vecellio

huffingtonpost.it, 12 febbraio 2024

Lo sdegno e l’indignazione di Nordio e Piantedosi sono davvero bizzarre: il problema è che parole e valori come Costituzione, diritto, legge, entrano con grande difficoltà in carcere e in altre istituzioni del nostro Stato. Lo si dice con la stima e la fiducia che si nutriva da quando era magistrato, in nome di quelle speranze finora non corrisposte da quando è Guardasigilli: caro ministro Carlo Nordio, provare “sdegno e dolore”, di fronte alle immagini che documentano le torture patite da un detenuto nel carcere di Reggio Emilia, è quello che si suol definire “minimo sindacale”. Ma certo che sono immagini indegne per uno stato democratico. E quindi? Cosa, dopo il manifestato sdegno?

Stessa cosa al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi: “Ogni volta che una persona è ristretta, sotto la vigilanza di organi dello Stato, deve essere assicurata la dignità della persona in modo duplice rispetto alle normali condizioni”. Dopo aver scolpito quello che uno studente di Giurisprudenza al primo mese sa a memoria, cosa? Siete andati entrambi o singolarmente dal presidente del Consiglio per renderla edotta della situazione particolare e generale, ed esigere che si faccia, finalmente, qualcosa di concreto e tempestivo? Oppure? È paradossale, ma anche tragicamente indicativo, che si debbano ringraziare episodi come quello nel carcere di Reggio Emilia per prendere consapevolezza di una situazione da mesi, da anni denunciata e che con pervicacia viene elusa, ignorata.

Se più spesso, senza essere annunciati, improvvisamente, i ministri, i loro collaboratori, i responsabili a vario livello e grado facessero ispezioni e “visite” nelle carceri e nelle altre istituzioni, certamente avrebbero avuto occasione e modo di esprimere sdegno, riprovazione, dolore molto prima; molto prima avrebbero ricordato che è dovere, obbligo, assicurare dignità e integrità psicofisica a chi si trova ristretto in una istituzione dello Stato. A chiunque e per qualunque ragione.

Il fatto è, cari ministri Nordio e Piantedosi, che parole e valori come Costituzione, diritto, legge, entrano con grande difficoltà in carcere e in altre istituzioni del nostro Stato. Già dimenticati i burocratici cavilli da Azzeccagarbugli con cui si è impedito di presentare, prima a Napoli, poi nel carcere milanese di San Vittore, il libro del presidente emerito della Corte costituzionale Giuliano Amato e della giornalista Donatella Stasio, che della Corte costituzionale è stata stimata portavoce? Libro, di tutta evidenza, pericoloso fin dal titolo: “Storie di diritti e di democrazia”. Parlare in un carcere di diritto e di democrazia nei giorni di questo inizio 2024, scanditi da un suicidio ufficiale di detenuti ogni due giorni…

Proprio quando qualcuno al governo concepisce che debba essere punita ogni forma di protesta, anche quella nonviolenta come il rifiuto del cibo o percuotere le sbarre della cella con le stoviglie… Che assurda pretesa, quella di Stasio e Amato.

Molti si sono stupiti e sdegnati. Chissà perché. Nel febbraio di due anni fa ho raccontato di un altro divieto a un detenuto sottoposto al regime del 41-bis a Viterbo che voleva acquistare un libro. Il detenuto non aveva chiesto un manuale della perfetta evasione. Non è un testo scritto da terroristi, non istiga alla violenza o alla sovversione. Il libro in questione è Un’altra storia inizia qui. “Qui”, è il carcere; è una riflessione di due personaggi insospettabili: l’ex presidente della Corte costituzionale Marta Cartabia, poi ministro della Giustizia; e un docente di criminologia, il professor Adolfo Ceretti; si confrontano con il magistero del defunto arcivescovo di Milano Carlo Maria Martini. Certo: introdurre in carcere un testo intriso di Costituzione e diritto può risultare estremamente pericoloso.

Meglio non rischiare deve aver pensato l’occhiuto censore, che ha anche motivato il divieto: “Il possesso del libro metterebbe il detenuto in posizione di privilegio agli occhi degli altri detenuti, aumenterebbe il carisma criminale”. È forzato ritenere che, se si oppongono tali pretestuosi ostacoli a chi vuole fare entrare Costituzione, diritto, legge in carcere, inevitabilmente si finisce col raccogliere anche frutti come quelli del carcere di Reggio Emilia?