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di Federico Bagattini*

Corriere Fiorentino, 2 luglio 2022

Il 27 ed il 28 giugno scorsi si è consumata l’astensione dalle udienze penali a sostegno del principio di “immutabilità” del giudice. In altri termini, i penalisti italiani hanno inteso testimoniare con questa iniziativa la necessità che durante tutto il corso del processo il giudice-persona fisica rimanga sempre lo stesso. È innegabile la irrinunciabilità di questo principio: nessuno vorrebbe essere giudicato da un magistrato che non abbia partecipato al dibattimento per intero ma si sia limitato a “leggere i verbali” per decidere il nostro futuro e la nostra libertà.

La prospettiva indicata dai promotori dell’iniziativa appare tuttavia sfocata e muta su certi temi connessi a quelli agitati con l’astensione che riguardano prima di tutto la professione di avvocato, la sua attuale condizione e il suo futuro.

In effetti, ciò su cui sarebbe necessario interrogarsi non è tanto l’immutabilità del giudice, che intesa in senso assoluto è prospettiva chimerica (basta pensare a questo proposito agli inevitabili trasferimenti, alle gravidanze, alle malattie, alla concomitanza di impegni), quanto la durata del processo che è oggetto di attenzione costituzionale. L’articolo 111 della Costituzione, infatti, non vuole solo evitare che l’imputato resti sotto processo “a tempo indeterminato”, ma anche impedire che un giudice deliberi ad eccessiva distanza di tempo dall’assunzione della prova con il rischio di muoversi non sul terreno della freschezza e vitalità della prova ma su quello della memoria sfocata dal tempo e della arida lettura dei verbali di dibattimento.

E allora, l’Avvocatura organizzata dovrebbe ancora interrogarsi anche e soprattutto sul tema della eccessiva lunghezza dei processi che necessariamente consegna al futuro legislatore, anche costituzionale, il dovere di riflettere sulla obbligatorietà dell’azione penale, su di una seria depenalizzazione e su di un vero potenziamento dei riti cosiddetti alternativi.

Ma perché queste nobilissime battaglie possano avere una qualche prospettiva di successo è necessaria la ricorrenza di una imprescindibile condizione, ovvero che politica e professione forense si dotino di eccezionale autorevolezza e credibilità ora del tutto mancanti. In effetti, manca una politica forte, credibile e capace, quindi, di proporre nuovi scenari legislativi, anche costituzionali, affrontando senza timidezza le resistenze del potere giudiziario (il termine costituzionalmente corretto sarebbe “ordine”, ma oramai nessuno più sembra ricordarselo) da sempre ostile nella gran parte dei suoi membri a certe modifiche ordinamentali nelle prospettive auspicate dall’Avvocatura.

Se poche speranze sembrano emergere per un “rinascimento” politico, ancora più pessimista sono rispetto allo stato dell’Avvocatura. Purtroppo, gli ultimi anni hanno registrato una caduta ingravescente della sua qualità professionale essendone probabilmente le cause un sistema di reclutamento insensibile all’eccellenza, di un sistema di aggiornamento inefficace, la mancanza di ogni controllo su certi comportamenti imbarazzanti che vanno dalla inadeguatezza del “dress code”, alla mancanza di educazione nel senso comune del termine, tutto ciò nell’ambito di una situazione economica che ha drammaticamente fatto fuori, per dirla con Luigi Pirandello, il piacere dell’onestà.

Gli stessi “numeri” della recente astensione hanno offerto una dimostrazione sconfortante di questo fenomeno: mentre le aule di udienza erano deserte con una partecipazione all’astensione quasi del 100%, all’assemblea della Camera Penale tenutasi in Tribunale le seggiole, a parte le “poltrone” istituzionali, erano quasi del tutto vuote.

Non si tratta di un caso ma di disinteresse preoccupante da parte della quasi unanimità dei colleghi che mette in discussione le reali motivazioni della partecipazione all’astensione e che fanno crescere il sospetto di come possa essersi trattato del perseguimento non della tutela dei principi nobili sottesi alla iniziativa ma di fini di ben minore spessore. Auspico che l’Avvocatura, prima di intraprendere battaglie di così alto valore, si interroghi su se stessa e si muova efficacemente per recuperare quel ruolo di traino culturale, non solo in campo giudiziario, che la storia ha assegnato alle libere professioni, prima fra tutte quella forense.

*Avvocato