di Paola Rossi
Il Sole 24 Ore, 20 settembre 2019
Corte di Cassazione - Sezione IV - Sentenza 19 settembre 2019 n. 38615. Il dentista che - in assenza di somministrazioni ed esami preparatori all'intervento - proceda all'estrazione dei denti del paziente sostituendoli con protesi corre il rischio di pagare, anche a distanza di qualche anno, per gli eventuali danni alla salute, che sia possibile comunque mettere in relazione con l'impianto. Nel caso concreto la Cassazione (sentenza n. 38615 di ieri) ha respinto il ricorso del dentista che era stato riconosciuto responsabile, ai fini civili, dal giudice penale d'appello ribaltando l'assoluzione di primo grado. La Cassazione ora conferma la rilettura delle risultanze probatorie e delle relazioni dei consulenti fatta dalla sentenza di II grado che ha ritenuto la responsabilità del medico dentista insita nell'assenza di somministrazioni di antibiotici, di esami radiologici e di una Tac nell'imminenza dell'oneroso intervento che comportava l'estrazione di ben 7 denti e la fissazione di un impianto osseo da canino a canino. Un intervento altamente invasivo che il dentista aveva realizzato sulla base di esami radiografici eseguiti un anno prima.
Questione procedurale dibattuta - Il ricorrente in Cassazione lamentava la violazione dell'obbligo di rinnovazione dibattimentale della prova e quindi l'illegittimità della sentenza d'appello di condanna. Il ricorso respinto dai giudici di legittimità in realtà riapriva una questione che è stata oggetto di storici precedenti della Cassazione come la sentenza "Dasgupta" del 2016, invocata dal ricorrente, e "Patalano" del 2017. In realtà in questo caso il giudice di appello non ha messo in discussione il contenuto della consulenza, ma ha stigmatizzato l'errata lettura da parte del giudice di primo grado dei dati tecnici che la stessa mette in luce (in questo caso l'assenza di consenso informato, di esami preparatori all'intervento e la mancata protezione antibiotica prevista dalle specifiche linee guida). In questo caso i giudici sottolineano che non era stata messa in dubbio l'attendibilità di un teste, in questo caso il consulente, ma il fatto che il primo giudice avesse travisato le conclusioni peritali incorrendo in errore: ciò che - nel rispetto dei principi di economia processuale - non obbliga il giudice di appello alla rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale ossia alla riacquisizione della prova. In conclusione è il differente apprezzamento della prova che fa scattare l'obbligo di rinnovazione che invece non sussiste se il giudice opera una diversa complessiva valutazione probatoria delle risultanze processuali.