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di Alessandro De Angelis

huffingtonpost.it, 19 gennaio 2023

Il guardasigilli va in aula e sulle intercettazioni dice il contrario di quello che aveva detto in commissione. Poi cancella trojan e separazione delle carriere. Il ministro, Carlo Nordio è sempre lo stesso. Solo che c’è Nordio 1 che in tv, pochi giorni fa, aveva sentenziato che “i mafiosi non parlano a telefono”. E oggi in Parlamento - in gergo si chiama toppa - ha spiegato, a mo’ di precisazione, che al telefono ci parlano, ma non dei loro reati (tesi che comunque non regge perché proprio dall’ascolto dei sodali di Matteo Messina Denaro si sono trovate le tracce necessarie all’arresto).

E poi c’è Nordio 2, sempre lo stesso ministro, non un altro, che in commissione, nello stesso Parlamento, non in un altro, aveva denunciato “l’uso eccessivo e strumentale” delle intercettazioni annunciando una stretta, in particolare legandola a interventi sul carcere (“Spendiamo 200 milioni sulle intercettazioni, mentre non abbiamo soldi per fare misure contro i suicidi”). E oggi in Aula si limita solo a stigmatizzare la pubblicazione di quelle che riguardano persone non coinvolte dalle indagini senza tuttavia minacciare interventi “rigorosi” verso chi le pubblica, come pure aveva detto il Nordio 1. E, sempre a proposito di Nordio 2, è scomparso il riferimento all’“inciviltà del trojan”, all’eccesso di custodia cautelare, usata come “pressione investigativa” e “intollerabile arbitrio”. E pure alla separazione delle carriere. Alla fine i due interventi - che logica avrebbe voluto come speculari ed entrambi chiarificatori di una medesima linea, di un medesimo programma, di una medesima visione del ministro (che Giorgia Meloni avrebbe voluto al Quirinale) e del governo - risultano due interventi sensibilmente diversi, di cui il secondo correttivo del primo.

È uno schema che si ripete e sta diventando il leitmotiv del governo, questo iato tra annunci facili e principio di realtà, nel momento in cui esso irrompe. Con conseguente brusca retromarcia, come sui rave, sui Pos, sul contante, sulla benzina, sui porti chiusi che sono diventati aperti, sia pur itineranti. In questo caso l’irruzione del principio di realtà è l’arresto di Messina Denaro e, con esso, la scoperta della sua dorata e spregiudicata latitanza, l’indagine sulla vasta rete di fiancheggiatori, insomma, con tutto il corollario di fatti (con la testa dura) che richiamano questioni fondamentali. Di cui diventa impossibile non prendere atto, dopo l’iniziale vacillamento nella discussione politicante: dalla funzione del 41bis all’uso delle intercettazioni, non solo per mafia e terrorismo, ma anche per i “reati spia”.

Anche la discussione sul l’ergastolo ostativo, su cui Giorgia Meloni ha sempre avuto una posizione intransigente anche rispetto a pezzi della sua maggioranza, risente del dato climatico per cui il ministro dell’Interno, di fronte al proliferare di dietrologie su un’eventuale trattativa - l’ammorbidimento dell’ergastolo ostativo in cambio della cattura di Messina Denaro - si dice pronto a “cambiare la Costituzione” per far passare norme più stringenti di quelle appena varate per superare l’incostituzionalità dichiarata dalla Consulta. Che comunque blande non sono affatto - in un ordinamento per cui la pena ha una funzione anche rieducativa e non solo punitiva - e che di fatto rendono estremamente difficile uscire per chi è condannato all’ergastolo ostativo.

E se i passi indietro, stavolta sul terreno del garantismo, cominciano a essere considerevoli nel numero, la parola realtà non basta a spiegarli senza che, inevitabilmente, l’analisi precipiti sul tema della “visione” e dalla “cultura politica” di un governo che, nella successione dei “vorrei ma non posso”, pare subire gli eventi anzi determinarli. Se, nello specifico, il tema fosse stato “sì alle intercettazioni, no agli abusi”, l’arresto di Messina Denaro non avrebbe spostato di una virgola la linea, mentre l’infelice battuta e il velleitarismo con cui il titolare della giustizia ha posto il tema dopo la retromarcia rende complicato affrontare anche il tema degli abusi. Così come la cavalcata mediatica sull’ergastolo ostativo, evocando modifiche alla Costituzione, rischia di esporre il governo all’ennesima percezione di una retromarcia o di uno spot senza conseguenze, nel momento in cui quelle modifiche - numeri e condizioni non ci sono nemmeno nella maggioranza - saranno impossibili da fare. E ci risiamo coi fatti.