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di Paolo Comi

Il Riformista, 19 dicembre 2022

“Overbooking” di toghe al Ministero della giustizia. Anche Carlo Nordio pare infatti aver deciso di seguire la strada tracciata dai suoi predecessori: riempire gli uffici di via Arenula di magistrati “fuori ruolo”. Dopo aver promosso il pm antimafia Giovanni Russo a capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap), sempre questa settimana Nordio ha nominato Gaetano Campo, presidente di sezione lavoro del Tribunale di Vicenza, neo direttore del Dipartimento dell’organizzazione giudiziaria (Dog). Campo prenderà il posto di Barbara Fabbrini, altro magistrato, che farà ritorno al Tribunale di Firenze come giudice civile.

La nomina di Campo, che al Ministero troverà il suo ex presidente del Tribunale Alberto Rizzo, attuale capo di gabinetto, ha sorpreso un po’ tutti in queste ore a causa della sua appartenenza correntizia. Il magistrato è un autorevole esponente di Magistratura democratica, la corrente di sinistra, e si era candidato, non venendo però eletto, alle ultime elezioni per il rinnovo della componente togata del Csm. Magistratura democratica, insieme a Marco Travaglio, sta conducendo una feroce opposizione al governo Meloni fin dal giorno del suo insediamento. In queste settimane Md ha letteralmente inondato il web e i media di commenti, post, comunicati, articoli vari, per stigmatizzare praticamente tutto quello che la presidente del Consiglio Meloni e il ministro Nordio hanno in mente di fare sulla giustizia: dalla separazione delle carriere fra giudici e pm, all’abolizione del reato di abuso d’ufficio.

Pare quindi alquanto singolare che una toga di punta di Md possa andare a far parte della squadra dei ‘fedelissimi’ di Nordio. A meno, però, che non voglia rinnegare quanto affermato fino al giorno prima. A parte questo aspetto, Nordio aveva comunque votato lo scorso 6 dicembre un ordine del giorno a firma dei deputati di Italia Viva - Azione, Roberto Giachetti ed Enrico Costa, con cui si impegnava il governo “ad operare una significativa riduzione del numero dei magistrati fuori ruolo presso il Ministero della giustizia”, con particolare riferimento “a quelli che svolgono funzioni amministrative e alle posizioni per le quali non è tassativamente richiesta dalla legge la qualifica di magistrato”.

Come, appunto, il capo del Dog, uno degli incarichi più delicati del Ministero della giustizia in quanto ha competenza, ad esempio, sull’organizzazione degli uffici, sull’utilizzo delle dotazioni tecnologiche e degli applicativi informatici. È il Dog che stabilisce le regole per il processo telematico, le udienze da remoto, la digitalizzazione degli atti. Compiti tipici più di un manager con competenze in organizzazione di strutture complesse che non di un giurista. “Quello che avviene al ministero della Giustizia è un fenomeno abnorme e sconosciuto presso i governi delle democrazie liberali che assicura un livello di ingerenza assolutamente decisivo nella politica giudiziaria del Paese, vanificando il principio della separazione dei poteri dello Stato”, aveva detto l’avvocato Gian Domenico Caiazza, presidente dell’Unione delle Camere penali. “Questa ‘anomalia’, quella del controllo preventivo dell’amministrazione e della legislazione da parte della magistratura deve essere pubblicamente conosciuta”, aveva aggiunto Caiazza.

A dare manforte al presidente dei penalisti, il giudice del tribunale di Verona Andrea Mirenda, neo eletto al Csm. “Serve spezzare il ‘sequel’ della colonizzazione dei Ministeri da parte dei magistrati in ossequio, al minimo istituzionale, della separazione dei poteri”, sottolinea Mirenda. “Ma vorrei anche ricordare - prosegue - l’evidente impreparazione ad assumere compiti di management del tutto estranei alla loro formazione: la soluzione sono risorse burocratiche stabili interne o anche professionali esterne per le quali occorra una solida competenza e preparazione”. “I magistrati fuori ruolo continuano ad essere strumentali per accreditare il potere delle correnti”, conclude allora Mirenda, unica toga nel prossimo Csm ad essere stato eletto senza un gruppo di riferimento alle spalle.