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di Simona Musco

Il Dubbio, 23 febbraio 2024

La variazione è impercettibile e nei due anni successivi all’entrata in vigore della norma i morti sono perfino aumentati. “Non è stato trattato il principio, al quale sarei anche abbastanza contrario, dell’introduzione di un omicidio sul lavoro, perché abbiamo l’esperienza dell’omicidio stradale: è stata aumentata a dismisura la pena gli incidenti stradali, ma non sono affatto diminuiti, anzi sono aumentati”. Il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha pronunciato queste parole mercoledì, durante il question time alla Camera, rispondendo al M5S sulle azioni da compiere per contrastare il fenomeno delle morti sul lavoro.

Una risposta che contrasta con alcune delle scelte messe in atto dal governo, dal decreto Cutro a quello Caivano, per fare un esempio, che puntano ad inasprire reati esistenti e a introdurne di nuovi, ma che richiama alla mente il vecchio Nordio, quello che predicava la necessità di ridurre i reati, negando l’effetto deterrente del pugno duro.

Ma le ragioni di tale strabismo erano state chiarite con lucidità un anno fa, quando il Guardasigilli, ospite da Fabio Fazio, chiarì un punto: se è vero che “inasprire le pene e creare nuovi reati non serve a nulla”, come affermato dal ministro nel suo libro “Giustizia”, ciò non toglie che si possa agire proprio in tal senso - ovvero inasprendo le pene - per dare un segnale “politico”.

Ciò perché, nonostante “il segnale della legge penale” non abbia “un significato di deterrenza”, nel senso che una legge più dura non “interrompe” né “elimina”, ad esempio, l’immigrazione clandestina, ciò che arriva è “un segnale politico”. Ovvero, in quel caso, il messaggio che “il governo è attento al traffico” di esseri umani. In questo caso, forse, il messaggio non serve. Ed ecco che ad andare in soccorso a Nordio ci sono i numeri, che gli danno senz’altro ragione in merito all’omicidio stradale: dal 2016, anno in cui è stato introdotto il reato di omicidio stradale, ad oggi, i morti sulle strade non sono diminuiti di molto. La variazione è, anzi, impercettibile e in alcuni casi pure peggiorativa, se si pensa che nei due anni successivi all’entrata in vigore della norma i morti sono addirittura aumentati. Nel 2016, infatti, anno in cui è stata introdotta la norma, i morti sulle strade sono stati 3283, con quasi 250mila feriti.

Numeri cresciuti nel 2017 (3378 decessi) e nel 2018 (3334 morti), con una lieve flessione nel 2019 (3173) e una drastica diminuzione tra il 2020 e il 2021, anni in cui nonostante le restrizione imposte dal governo contro il Covid sono stati registrati comunque, rispettivamente, 2395 e 2875 incidenti mortali. Nel 2022, poi, il contatore ha ripreso a girare, con 3159 decessi. E nei primi sei mesi del 2023, stando ai dati Istat, sono stati 1384 gli impatti fatali. Ma cosa dice la norma? L’articolo 589 bis del codice penale prevede che “chiunque cagioni per colpa la morte di una persona con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale è punito con la reclusione da due a sette anni”, e che “chiunque, ponendosi alla guida di un veicolo a motore in stato di ebbrezza alcolica o di alterazione psicofisica conseguente all’assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope (…) cagioni per colpa la morte di una persona, è punito con la reclusione da otto a dodici anni”. L’articolo 590 bis, invece, dice che “chiunque cagioni per colpa ad altri una lesione personale con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale è punito con la reclusione da tre mesi a un anno per le lesioni gravi e da uno a tre anni per le lesioni gravissime”. La pena aumenta se chi ha provocato l’incidente è sotto l’effetto di alcol o stupefacenti: da tre a cinque anni per lesioni gravi e da quattro a sette anni per lesioni gravissime.

La norma era nata, come spesso accade, sull’onda dell’indignazione: a chiederla, a gran voce, erano state le associazioni delle vittime della strada e da quelle sulla sicurezza stradale, lo scopo era quello di colpire chi si metteva alla guida ubriaco o drogato. Ma sin da subito si è dimostrata inefficace, se non addirittura controproducente, soprattutto per non accompagnata da una corrispondente strategia preventiva rispetto al fenomeno che si intendeva combattere. A denunciarlo, nell’immediatezza, era stato il presidente dell’Automobile club d’Italia, Angelo Sticchi Damiani, secondo cui a fronte di un aumento del 16 per cento dei feriti nei primi mesi di applicazione della legge, si era registrato un incremento del 20 per cento degli episodi di pirateria: insomma, per paura delle conseguenze, è aumentato il numero delle persone che optano per la fuga. Secondo un report dell’Osservatorio Asaps, ad esempio, nel 2019 sono stati 1.129 i casi, il 12,3 per cento in più rispetto ai 1.005 dell’anno precedente.

Ciononostante, l’Associazione Lorenzo Guarnieri e l’Associazione sostenitori e amici della Polizia stradale hanno criticato duramente le parole del ministro: “Che un ministro della Giustizia dichiari che l’esperienza dell’omicidio stradale sia negativa, perchè ha aumentato a dismisura la pena, (che in realtà non determina la carcerazione di quasi nessuno) e gli incidenti non sono diminuiti ma aumentati, ci dimostra come forse si stia perdendo l’attenzione su un traguardo che tante associazioni e familiari delle vittime sulla strada hanno portato avanti, con un Parlamento che ha approvato quelle norme nella piena autonomia e in democrazia.

Che non abbia funzionato va poi spiegato a chi crede nella Giustizia, e se gli incidenti sono aumentati lo si dimostri con i dati alla mano visto che si continua a dire esattamente il contrario anche a livello governativo. In nessun Paese civile si afferma che la causa di un aumento degli incidenti è l’inasprimento delle sanzioni penali, ma forse è una ridotta presenza di divise sulle strade e una sorta di “liberi tutti” con la guerra agli autovelox che si sta facendo in queste settimane”.