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di Alessandro Galimberti

Il Sole 24 Ore, 27 maggio 2023

La riforma delle intercettazioni si farà e “sarà radicale” - ma solo sul versante della divulgabilità, non su natura e limiti dello strumento investigativo e non sulla responsabilità dei cronisti - l’addio all’abuso d’ufficio è un tema condiviso in modo trasversale “anche se non tutti i sindaci possono dirlo”.

E ancora “autonomia e indipendenza della magistratura restano un punto fermo” però non è più ammissibile che il pubblico ministero italiano sia “l’unico al mondo con un potere effettivo (di dirigere polizia giudiziaria e indagini, ndr) ma senza alcuna responsabilità”.

Infine nella Costituzione dovrà trovare più spazio il liberalismo di De Nicola che 75 anni fu schiacciato dalle due visioni diversamente trascendenti di cattolici e marxisti. In un’ora di intervista pubblica nell’affollato palazzo della Regione, il ministro della Giustizia Carlo Nordio, sollecitato dal direttore dell’Ansa Luigi Contu, ha toccato molti dei temi più accesi - e da sempre divisivi - del terzo potere.

Cominciando da un omaggio, non inedito peraltro, alla sua predecessora Marta Cartabia, grazie alla quale “siamo messi molto bene con il Pnrr” al netto di alcune previsioni diatoniche (per esempio i io milioni di fascicoli già smaltiti prima ancora di iniziare) e sulla cui scia “la digitalizzazione resta la precedenza assoluta” per migliorare tempi ed efficienza del pianeta giustizia. Un pianeta che però in Italia ha da sempre orbite tutte sue, che non la fanno tanto apprezzare in giro (“non solo dai miei omologhi europei, ma soprattutto dagli imprenditori che hanno difficoltà a investire qui perché la giustizia è lenta e il diritto incerto”) e che è ancora pervaso da quella “pigrizia mentale nel fare le riforme, una difficoltà genetica nella nostra mentalità giuridica nell’accettare il nuovo: anche se “si è sempre fatto cosi” non significa che si è fatto bene”.

Però le riforme si faranno perché c’è una maggioranza “più ampia e coesa” rispetto al precedente parlamento: a breve termine i ritocchi urgenti, nel medio termine gli interventi “radicali”. Sulle intercettazioni “non sparate sul cronista, scrissi già 25 anni fa”, ma si punterà su chi vìola il segreto; sulle carriere della magistratura (“non vorrò mai vedere un Pm soggetto all’esecutivo, ma nemmeno come ora irresponsabile” delle sue azioni - e anche di quei 200 milioni/anno spesi per intercettare, con il 95% del registrato “totalmente inutile”) e magari anche sulla procedura penale del 1989 (“demolita dalle leggi successive e dalla Consulta”), ma forse non si toccherà il diritto sostanziale (Codice Rocco) che pure anziano “regge bene” quantomeno nell’impalcatura della imputabilità. E, tanto per non lasciare nulla di opaco, la sottolineatura su Montesquieu: i magistrati non possono fare “diritto creativo” né criticare il merito delle leggi (ma semmai gli aspetti tecnici di funzionamento”) mentre i politici “non devono criticare le sentenze”.