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di Marco Benvenuti

La Stampa, 11 settembre 2022

Appello della direttrice: “Anche la nostra struttura ha bisogno dell’aiuto del volontariato”. “Il carcere non è un altro mondo, fa parte del territorio. Deve essere inserito nel tessuto sociale ed è importante che il territorio lo conosca. E invece c’è disinteresse: qualche novarese non sa nemmeno dove si trova. La cosa che mi sorprende è che a Novara non ci siano volontari, non c’è gente che chieda di dare una mano. Non serve curiosità, ma aiuto”.

L’appello alla ricerca di volontariato per la casa circondariale di via Sforzesca è stato lanciato dalla direttrice Rosalia Marino venerdì durante l’incontro “Vita in carcere: un ponte fra detenzione e libertà”, tradizionale appuntamento di approfondimento pre-spettacolo della rassegna “Le notti di Cabiria” a Casa Bossi, che in serata ha poi ceduto il testimone a “Il colloquio”, rappresentazione teatrale dedicata al mondo del carcere e al rapporto fra detenuti e famigliari. Un’occasione per riflettere su problemi, disagi, carenze, obiettivi. Assieme al garante regionale per i detenuti Bruno Mellano e all’avvocato Alessandro Brustia, presidente della Camera penale di Novara, la direttrice Marino ha voluto lanciare un monito affinché i cittadini e le istituzioni prendano coscienza di problemi e difficoltà fra quelle mura, e al “dopo”, senza deviare in scontri ideologici all’insegna del “buttare via la chiave”. L’appello va anche alla politica: “In questa campagna elettorale non abbiamo sentito una parola per il carcere”. Si chiede attenzione: “Il nostro ordinamento giudiziario - ha detto Rosalia Marino - è del 1975. Oggi molte cose sono cambiate: il carcere era previsto come “estrema ratio”. E invece, allontanandosi da quei principi, è diventato il contenitore di tutto ciò che la società non vuole. Molti detenuti devono scontare definitivi inferiori a uno, due anni. Come possiamo intervenire su queste persone per garantire il “reinserimento” previsto dalla Costituzione? E’ già tanto se riusciamo a incontrarle una volta”.

I numeri confermano: in Italia 1.324 dei 55 mila detenuti devono scontare meno di un anno, e altri 2.593 pene fra uno e due anni: “Sono persone su cui non possiamo fare nulla”, conferma la direttrice. Le dà man forte il garante Mellano: “Nei 190 istituti del Paese abbiamo “esseri umani”, persone: dobbiamo restituirli alla società”. Anche l’avvocato Brustia si appella al mondo politico-istituzionale: “Servono energie e risorse in termini economici e di personale: non possiamo pensare che avvocati e agenti penitenziari facciano anche gli psicologi, gli educatori, gli assistenti sociali, i mediatori. Non è il loro lavoro”.

Bruno Mellano ha ribadito l’importanza di un collegamento col tessuto sociale: “Occorre fare sistema, perché altrimenti la detenzione non serve a nulla: i dati ci dicono che 7 detenuti su 10 tornano a delinquere una volta usciti. Così il sistema è fallimentare. Il carcere deve essere vissuto come un pezzo di società, e occorre pensare al dopo”.

Novara, come ha sottolineato la direttrice, ci sta provando: “Siamo stati fra i primi, nel 2014, a stipulare con Comune e Assa un accordo per il lavoro esterno. Abbiamo rimesso in piedi la tipografia. E già anni fa, molto prima del Covid, abbiamo istituito le videochiamate coi famigliari. Da soli, però, non andiamo da nessuna parte”.

La casa circondariale di via Sforzesca ha due “anime”: accanto alla sezione ordinaria, con un centinaio di detenuti comuni, attualmente ci sono anche 69 persone al regime del “41 bis”, riservato ai reati della criminalità organizzata. La capienza regolamentare dichiarata è 158 persone, sempre superata.