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a cura di Rossella Grasso

L’Unità, 19 luglio 2023

Nell’epoca delle connessioni iper-veloci e iper-ovunque, garantite, gratis e a portata di mano, il carcere resta fuori dal mondo. Fermo a un telefono e a una linea telefonica. Uno di numero, si intende. Come una di numero è la telefonata a settimana che ogni detenuto può fare con i suoi cari. Parliamo di nove minuti e 40 secondi in cui dover condensare tutto quel che c’è da dire. E capita che quello sia l’unico modo per entrare in contatto con i familiari che “stanno e stiamo sempre tutti bene”, come racconta L.C., familiare di un detenuto.

Anche lei aspetta con trepidazione quel momento della settimana che a volte può non succedere, scrive: “Perché nessuno ti avvisa se la linea non funziona, se il telefono della sezione è guasto, se tuo marito, tuo figlio, tuo fratello, tuo cugino o chiunque sia è stato trasferito. Nessuno ti dice niente. Perché nessuno gode del diritto di sapere dove si trova un pezzo del proprio cuore. E se chiami perché sei preoccupato o preoccupata, ti dicono che devi attendere, che chiamerà anche se non è vero perché è stato dislocato a 1400km. Succede”.

Nell’epoca dell’essere raggiungibili ovunque come diritto insindacabile dell’essere umano, quasi come prerogativa dello stare al mondo, perché non consentire telefonate in più? L.C. racconta come si ci sente a stare lontani migliaia di chilometri da qualcuno che si ama e poter avere come contatto solo quei nove minuti e 40 secondi a settimana. Ci chiediamo: come possono pei pochi secondi rinsaldare i rapporti umani e garantire un reale reinserimento della persona nella società? L.C. da familiare racconta cosa significa tutto questo in una lettera a Sbarre di Zucchero. Riportiamo di seguito le sue parole.

Aspetti per una settimana quel momento. Dal momento in cui riagganci, aspetti che ritorni quel momento. Che tu sia lontana geograficamente o vicina, poco cambia. Quello diventa il giorno della telefonata, avvisi parenti ed amici che non si devono assolutamente permettere di chiamare per non tenere la linea occupata, 24 ore concentrate e focalizzate su 9 minuti e 40 secondi di cronometro. Si può riassumere una settimana in così poco tempo? Impossibile. E devi lasciargli spazio di parlare, perché è più quello che vorresti sentire che dire. Prepararsi qualcosa è sconsigliassimo, rischi sempre che la conversazione prenda una piega che poi per questioni di tempo non puoi gestire. Sono più funzionali le frasi a spot.

Intanto, stanno e stiamo sempre tutti bene. Nel frattempo tu parente, puoi anche avere 40 di febbre, una polmonite, o un braccio rotto… lui o lei devono sapere che va sempre tutto bene. Io sono logorroica. Personalmente per me ogni chiamata si è sempre conclusa con me mi collegavo al sito delle poste per fare un telegramma. Ho investito molto denaro nei telegrammi. Erano veloci e la telefonata della domenica al lunedì era già cosa chiusa. Per quanto si abbiano molte cose da dire, entrambe le parti fanno un’accurata selezione, e se si è molto abili in questo, ci possono essere anche frazioni di secondo di silenzio. “Adesso si stacca, ricordati che mi manchi”. Un classico.

Il vero problema per chi “aspetta” la chiamata su cui potrei dire molto è quando la chiamata non arriva. Solitamente della telefonata, sai il giorno e all’incirca la fascia oraria. Ma ci sono giorni in cui quella chiamata non arriva. Ci sono giorni in cui aspetti invano, quel giorno e quelli a venire. Perché nessuno ti avvisa se la linea non funziona, se il telefono della sezione è guasto, se tuo marito, tuo figlio, tuo fratello, tuo cugino o chiunque sia è stato trasferito. Nessuno ti dice niente. Perché nessuno gode del diritto di sapere dove si trova un pezzo del proprio cuore. E se chiami perché sei preoccupato o preoccupata, ti dicono che devi attendere, che chiamerà anche se non è vero perché è stato dislocato a 1400km. Succede.

Succede davvero che quella chiamata non arriva. Succede che se la aspetti di domenica, il giorno dopo la settimana inizia per tutti, e tu devi imparare a far finta di niente. Perché adesso si possono usare i cellulari, e quindi teoricamente posso anche aspettare ovunque, ma fino a poco tempo fa le chiamate venivano autorizzate solo sulla linea fissa. Solo sulla linea fissa. Nel dubbio la linea fissa non l’ho mai disattivata. Non mi serve a molto, anzi a niente. Ma per molto tempo mi ha dato aria, e mi ha permesso di respirare, e adesso che non mi serve più non mi sento di buttarla via come una scarpa dismessa. La conservo come una reliquia piuttosto, perché se siamo quelli che siamo adesso è anche grazie a quel dannato telefono. Non discuto da famigliare solo la quantità di chiamate. Discuto il diritto di chiamare e ricevere chiamate, quando chiunque avrebbe diritto di dire o sentirsi dire le cose a voce. Per umanità. Per puro e semplice senso di umanità.