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di Damiano Aliprandi

Il Dubbio, 9 novembre 2023

Il Comitato interministeriale sull’edilizia carceraria, presieduto dal vicepresidente del Consiglio e ministro Matteo Salvini, ha recentemente approvato l’assegnazione di 166 milioni di euro stanziati dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti per ristrutturare le carceri italiane. Questa iniziativa, che mira a migliorare la sicurezza degli istituti penitenziari e le condizioni di vita dei detenuti, non è priva di critiche, soprattutto in seguito ai recenti eventi alluvionali che hanno colpito alcune strutture carcerarie, come nel caso del carcere di Sollicciano.

L’investimento, distribuito in varie regioni italiane, prevede interventi significativi in diversi istituti penitenziari. Milano San Vittore, Brescia- Verziano, Carcere di Forlì, San Vito al Tagliamento e altre prigioni beneficeranno di fondi per miglioramenti strutturali, sicurezza e adeguamento funzionale. Inoltre, alcune carceri toscane riceveranno finanziamenti mirati, con progetti che vanno oltre il semplice restauro delle infrastrutture.

In particolare, Sollicciano, una delle carceri coinvolte, riceverà quasi 500mila euro per la realizzazione di un laboratorio finalizzato a corsi di formazione per pellettieri, in collaborazione con importanti case di moda. Questo progetto non solo contribuirà al reinserimento sociale dei detenuti ma rappresenta anche un passo verso la riqualificazione professionale, offrendo loro opportunità formative significative.

Tuttavia, nonostante gli sforzi per migliorare le condizioni di vita dei detenuti, la recente alluvione ha evidenziato le vulnerabilità strutturali del sistema carcerario. Sollicciano, nonostante gli investimenti precedenti di oltre 11 milioni di euro in efficientamento energetico, nuove facciate, campi da calcetto e altre migliorie, è stata colpita duramente dalle piogge torrenziali, tanto da richiedere lo sfollamento del reparto maschile.

L’evento ha sollevato gravi preoccupazioni riguardo alla sicurezza delle strutture carcerarie esistenti. Il segretario generale della Uil Pa polizia penitenziaria, Eleuterio Grieco, ha sottolineato la necessità di un’inchiesta approfondita. Secondo Grieco, non è sufficiente investire in ristrutturazioni straordinarie quando alcune carceri richiedono una demolizione e una ricostruzione completa. Ha sottolineato che Sollicciano, in particolare, presenta problemi come l’infestazione di blatte e cimici, oltre alle condizioni igieniche inadeguate che richiedono cure frequenti nelle infermerie. Lo stesso sindaco Dario Nardella, un anno e mezzo fa, nel corso di una visita aveva detto che è necessario “ricostruire da zero questa struttura”.

Ma pensare che la soluzione delle criticità penitenziarie si risolvano unicamente con l’investimento nell’edilizia carceraria, è da miopi. Rita Bernardini dell’associazione Nessuno Tocchi Caino, ha lanciato un grido d’allarme in seguito alla notizia del 58° suicidio avvenuto nel carcere di Arghillà a Reggio Calabria. La tragica morte di un detenuto mette in evidenza una crisi crescente nel sistema carcerario italiano, che sta attraversando una fase di grave sovraffollamento. Secondo Bernardini, la popolazione carceraria italiana ha fatto un balzo in avant i impressionante, raggiungendo quasi sessantamila detenuti. In soli dodici mesi, il numero di persone dietro le sbarre è aumentato di 3.480, un dato allarmante che non può essere ignorato. Mentre la crisi si aggrava, il governo e il Parlamento sembrano che puntino esclusivamente nell’edilizia. Eppure la débâcle dell’esecuzione penale, come afferma Bernardini, è sotto gli occhi di tutti coloro che vogliono vedere la realtà della situazione e che non intendono voltarsi dall’altra parte di fronte a questa tragedia umana. Il sistema carcerario italiano è in uno stato di crisi profonda, con prigioni sovraffollate che non solo mettono a rischio la sicurezza dei detenuti ma anche la loro salute mentale. Il problema non è solo il sovraffollamento, ma anche l’accesso limitato ai servizi essenziali, come l’assistenza sanitaria e le opportunità di riabilitazione. Tutto ciò rende impossibile fornire un adeguato supporto psicologico e sociale ai detenuti, aumentando così il rischio di problemi mentali e comportamentali, tra i quali il suicidio. Per quanto riguarda quest’ultimo fenomeno, è sbagliato collegarlo esclusivamente con il discorso sovraffollamento. Ci viene in aiuto l’analisi del garante nazionale delle persone private della libertà, mettendo in luce un fenomeno grave e complesso che non può essere trascurato e che, ovviamente, ha poco a che fare con l’ennesimo investimento nell’edilizia penitenziaria.

Nel corso dell’anno precedente, il tasso di suicidi in carcere è risultato essere 18 volte superiore rispetto a quello registrato nella società esterna, un dato che richiede una seria riflessione da parte di tutta la collettività. Le risposte a questa problematica sono tutto tranne che semplici e coinvolgono l’intera società e le sue fondamenta culturali. Come evidenziato dal Garante nazionale, molti casi di suicidio si verificano nelle prime settimane di detenzione e persino poco tempo dopo la liberazione, specialmente per coloro che hanno trascorso lungo tempo dietro le sbarre.

È estremamente complesso, se non addirittura improprio, collegare questi atti estremi alle sole condizioni edilizie, soprattutto quando sono stati sperimentati per un periodo prolungato e quando la liberazione sembra ormai prossima. È più sensato attribuirli alla mancanza di prospettive e allo stigma sociale che spesso colpisce coloro che escono dal carcere, un problema di cui l’intera società esterna è responsabile.

Dall’altro canto, come già riportato ieri su Il Dubbio, Riccardo Magi di + Europa ha presentato ieri alla Camera una proposta di legge sulle case territoriali di reinserimento sociale. La proposta si concentra sulle “case territoriali di reinserimento sociale”, strutture alternative al carcere progettate per accogliere detenuti che stanno scontando una pena detentiva residua non superiore a dodici mesi. Secondo i dati aggiornati al 31 dicembre dell’anno scorso, si tratta di circa 7.200 persone.

L’obiettivo principale di questa proposta è quello di implementare il principio costituzionale della finalità rieducativa della pena. Le nuove strutture, con una capacità limitata di cinque a quindici persone ciascuna, verrebbero istituite in collaborazione con la Conferenza Stato- Regioni e i Comuni coinvolti. In queste case, verrebbero svolti lavori di pubblica utilità e progetti educativi che coinvolgono figure quali educatori, psicologi, assistenti sociali e altri professionisti del settore. Inoltre, verranno attuate attività cogestite con enti del terzo settore, rafforzando così il tessuto sociale e contribuendo attivamente al reinserimento dei detenuti nella società.

Questa proposta ha ricevuto l’appoggio di diverse figure politiche, inclusi esponenti del Partito Democratico, Azione, Avs e Più Europa. Anche l’uscente Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, presieduto da Mauro Palma, ha riconosciuto l’opportunità di istituire tali strutture di responsabilità territoriale, sottolineando l’inadeguatezza della stragrande maggioranza delle carceri italiane nel garantire un efficace processo di reinserimento sociale per i detenuti. Concentrarsi esclusivamente sull’investimento nelle carceri esistenti non basta. Non risolve il vero problema dell’esecuzione penale.