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di Massimo Donini

Il Riformista, 7 novembre 2022

Tra gli addetti ai lavori, anche in ambito internazionale, mi è accaduto di proporre alla discussione il tema della democrazia penale e degli aspetti invece tradizionalmente aristocratici deteriori di una legislazione lontana dal dibattito pubblico. Ne è sortito un piccolo dibattito tra specialisti, che da noi ha avuto scarsa eco. In Italia c’è invece la democrazia penale reale, quella dei mass media e del populismo legislativo e giudiziario. Dopo una parentesi offerta miracolosamente dal “governo dei tecnici” (che ovviamente ha fatto a suo modo politica, anche sotto la copertura di commissioni di studio) siamo ora tornati alla dimostrazione di che cosa significhi il vero primato della “politica” sulla “tecnica”.

Il decreto-legge sui rave parties ne è la dimostrazione. Una norma non dettata da necessità e urgenza ha introdotto nel sistema una incriminazione non solo non discussa “democraticamente” prima della sua delibera in consiglio dei Ministri, ma non discussa neppure tra i ministri prima del giorno della votazione. Unità di tempo e luogo dell’azione come nel teatro greco. Nella tragedia. Le leggi penali sono vicine alle leggi costituzionali, perché mettono a rischio la libertà, e dovrebbero per questo tutelare davvero, e non semplicemente compromettere, i diritti fondamentali. Ma in genere producono entrambi questi effetti deteriori. Per questo è giusto che una vera discussione pubblica preceda la loro introduzione.

È un aspetto della riserva di legge in senso sostanziale: che ci importa se c’è una maggioranza formale autorizzata a legiferare, se manca la discussione e la verifica tecnica, scientifica e politica previa, che è la vera garanzia “democratica” dell’aver riservato al Parlamento, anziché al Governo o a organi subordinati, la materia dei delitti e delle pene? Il tema è così avvertito tra i penalisti che almeno una significativa rappresentanza di studiosi ha proposto di introdurre una riserva rinforzata da una maggioranza qualificata per le leggi penali: non per amnistiare (decisione una tantum che lascia in vigore i reati estinti, e per la quale l’art. 79 Cost. richiede la maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera), ma proprio per introdurre i reati, anziché abbandonarli alla giostra massmediatica dei governanti di turno che, mediamente ogni due anni, si alternano nei palazzi delle istituzioni.

Ci sono molti modi per aggirare questa esigenza di democrazia sostanziale. Uno è quello di affidare a commissioni di studio che elaborano i testi “in segreto”, per poi immetterli in un decreto legislativo; un altro è quello di affidare le regole ai magistrati degli uffici ministeriali; un altro ancora è dato dalla scelta finale di adottare procedure deliberative che aggirano le discussioni in aula. Il decreto-legge è la forzatura più evidente. Intendiamoci. Oggi tutto è così terribilmente specialistico e tecnico che anche per vendere un panino, per confezionarlo o distribuirlo occorre rispettare una serie di regole di sicurezza alimentare. Una scuola di cucina non esiste più senza esperti di chimica organica. Non parliamo di un qualche apparato industriale più complesso, della sicurezza del lavoro, della circolazione o delle linee-guida sanitarie. Forse che per le leggi penali qualcuno si è immaginato che sia diverso? Ebbene è così. C’è chi pensa da tempo di affidare alla “democrazia massmediatica” la materia penale. Lo pensa e lo realizza.

Sarebbe questo il primato della politica sui professori, sui tecnici. Sì che tutti sono autorizzati a scrivere di penale senza nessuna competenza, e quando ne parlano i “c.d. esperti” la loro voce non ha risonanza, perché utilizzano quegli argomenti che non interessano appunto alla “democrazia penale reale”. Ci sono forse al massimo due milioni di persone che possono ascoltare e leggere una pagina di competenze giuridiche professionali redatte in modo divulgativo. Ma decine di milioni che neppure la considereranno. Ecco, la democrazia penale reale si rivolge a queste decine di milioni di consociati. Gli altri, invece, non hanno o non coltivano argomenti massmediatici.

Questo “metodo” di fare legislazione e pubblicità delle norme è il contrario di una tecnica legislativa seria e condanna il Paese a non avere mai una riforma organica di fondo in materia penale. Il fatto è che non si è capito, anche per mancanza di cultura e di formazione della classe politica, e non solo per interessi di consenso elettorale o quotidiano, che è davvero un problema di democrazia penale il saper affidare a competenze sia tecniche e sia dialogiche, in un contesto più allargato di tipo parlamentare e di addetti ai lavori, una materia come quella penalistica, ormai sempre più debole nel sostenere gli arcana imperii, perché tutte le sue logiche più occulte di potere o interessi privati vengono presto scoperchiate. Vediamo ora di testare quanto detto sulla normativa riguardante i rave parties.

Sono feste deliranti, espressione dionisiaca della contemporaneità. In genere fanno molti meno danni di una serata alcolica tra pochi amici o in discoteca seguita da incidenti stradali. Tuttavia, aumentano il rischio dell’uso collettivo di droghe e alcoolici, con possibili effetti collaterali su ordine pubblico, salute pubblica, incolumità pubblica. Quando questa possibilità sia concreta nessuno può dirlo. Se lo si scrive in una norma, che le sanzioni scattano in presenza di questa possibilità, è come dare a polizia prima e magistratura poi un potere molto discrezionale, a meno che non si esiga che da un certo fatto sia davvero derivato un pericolo: il che esige una verifica ex post che assicura un’offesa apprezzabile. Per carità, anche clausole di questo tipo sono aggirate dalla prassi, che trasforma spesso i c.d. reati di pericolo concreto (con prova ex post di un pericolo) in reati di pericolo astratto-presunto.

Orbene la norma introdotta in Cdm ha previsto un pericolo potenziale. Che è qualcosa di più di un pericolo presunto, ma di assai meno di un pericolo concreto. Sul piano tecnico non c’è nulla di scandaloso. Abbiamo norme di pericolo presunto tra i reati contro l’incolumità pubblica, dove non è richiesto che dal fatto derivi né il pericolo, né la possibilità del pericolo: un caso eclatante è la rimozione od omissione di cautele antinfortunistiche (art. 437 c.p.): mai la democrazia penale reale se ne è occupata, perché è regola a tutela dei lavoratori (pena fino a cinque anni, salvo aggravanti), e punisce il datore anche se non ci sia nessun pericolo per l’incolumità, a meno che venga reinterpretata in concreto in modo più “offensivo”.

Nel caso dei rave parties, però, l’uso simbolico del penale è evidente. Si dice ai “benpensanti” che sostengono la politica della destra, che ora anche queste manifestazioni di disordine urbano o extraurbano finiranno nel carcere. Law and order passano attraverso decisioni occulte, rivelate al pubblico, e anche agli addetti ai lavori, perfino ad alcuni ministri, il giorno della delibera. Accade spesso, in ogni contesto, che quando si arriva alla decisione senza la discussione previa, si “debba” votare per solidarietà politica. Votare di tutto. La democrazia penale può infine aggiustare le cose a posteriori. I tecnici e gli esperti faranno critiche e opposizioni. Il testo potrà essere migliorato. Ma non emendabile è che sia stato deciso al di fuori di ragioni di necessità e urgenza: ragioni esistenti per altre regole approvate (ergastolo ostativo e legge Cartabia), ma non per le feste deliranti.

Ora a noi non interessa qui dare consigli, che già in tanti, esperti e assai meno, si affrettano a proporre. Dopo diciotto mesi di aristocrazia penale del governo Draghi, nella quale un dialogo almeno tra esperti è stato tentato, è riesplosa la democrazia massmediatica sui criminali. Né vogliamo fare professione di garantismo “contro la destra” magari senza averlo fatto contro le leggi della sinistra prima: uno sport che sta crescendo in questi giorni. Certo. Una riunione alcolica e tossica di più di cinquanta persone non è un fatto che si possa dire irragionevolmente ritenuto pericoloso almeno quanto la consegna di un apparecchio non a norma ai lavoratori. Ma di fatto quella consegna è punita come contravvenzione, senza scomodare il sopra menzionato delitto di cui all’art. 437 c.p. (applicato “discrezionalmente”, nella prassi, solo quando i fatti pericolosi sono più intensi o seriali), e viceversa le invasioni abusive di edifici anche pubblici, se realizzate da studenti o lavoratori, non vengono perseguite, sempre di fatto, (non) applicando un delitto da sempre esistente come l’art. 633 c.p.

Questo delitto già basterebbe anche contro i rave parties che siano davvero, come scrive la norma, realizzati invadendo arbitrariamente edifici privati o pubblici, cioè realizzando, appunto, il reato previsto dall’art. 633 c.p., perseguibile d’ufficio (e punito fino a quattro anni) se commesso da più di cinque persone. Il fatto è, peraltro, che nel bilanciamento interno a una incriminazione nuova, tra i diritti lesi potenzialmente (per es. di terzi o per l’ordine pubblico), e quelli sacrificati realmente (per es. di occupanti animati da istanze non ludiche), si deve tener conto delle manifestazioni in scuole, università, fabbriche, sostenute da ragioni politico-sindacali che hanno sempre trattenuto la magistratura dall’applicare, salve eccezioni, un delitto come l’art. 633 c.p.

Non è in gioco, tuttavia, il diritto di associazione, se lo si esercita comunque commettendo un delitto comune come l’art. 633 c.p. In ogni caso una politica di destra potrebbe sostenere anche solo l’utilizzo delle norme esistenti, che non mancano affatto. Ciò di cui si deve discutere, a livello massmediatico, è della qualità e dello stile della legislazione, la democrazia penale costituzionale, non quella reale. Quella reale la conosciamo, quella costituzionale ce la siamo da tempo solo immaginata. Non sappiamo in un governo “politico” ci siano tecnici che al suo interno hanno un peso decisorio, o se abbia senso immaginare un dialogo a distanza con loro. Se neppure i ministri “garantisti” conoscono in anticipo le leggi che vanno a votare, mancano i presupposti, i fondamentali per discutere della democrazia penale costituzionale che abbiamo immaginato.