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di Liana Milella

La Repubblica, 16 aprile 2024

Il Guardasigilli Carlo Nordio, con una delle sue iperboli, assimila l’avvocato “a una divinità” e considera maturo il tempo, in vista di una riforma costituzionale, per inserire anche questa figura nella Carta. Nell’inaugurazione di un anno giudiziario, stavolta del Consiglio nazionale forense, anche gli eccessi sono ammessi. E il ministro della Giustizia si esibisce in uno dei suoi. E del pari anche il numero due del Csm, l’avvocato nella vita Fabio Pinelli, scelto dalla Lega per palazzo dei Marescialli - che giusto domani, con tanto di mega cerimonia blindata per i soli vip, diventa “palazzo Bachelet” - allarga le critiche contro il “processo mediatico”. Della serie, fa sempre notizia criticare la stampa, se a farlo poi è un esponente del centrodestra. Da un lato, la minaccia di una legge draconiana e anti-Consulta sulla diffamazione, dall’altro, l’enfasi sul ruolo nefasto dei giornalisti, presunti falsificatori della realtà.

Tant’è. Stiamo ai fatti. La platea è folta. La Sala Regia di Palazzo Venezia bella a vedersi. Ormai il Cnf si è lasciato alle spalle la storica auletta in boiserie di legno al piano terra di via Arenula. Altri tempi, quelli. Adesso il presidente del Cnf Francesco Greco lancia i suoi allarmi sui potenziali rischi dell’Intelligenza artificiale, ma anche su quelli cogenti del processo telematico impantanato da mesi, nonché sui suoi colleghi costretti a redigere atti brevi perché quelli “lunghi” finiscono per essere addirittura sanzionati. “Ed è avvenuto” giura Greco. E poi, anche nel civile, “l’abuso della trattazione scritta”. E nel penale “le persone non abbienti, deboli, ‘assenti’ nel processo di primo grado, incapaci di dotarsi di un’efficace difesa durante il lungo tempo delle indagini e del dibattimento” rischiano alla fine di vedersi “preclusa ogni possibilità di rivedere una condanna in ipotesi ingiusta”. Doglianze che i cenni di assenso dei colleghi in sala palesano l’ampia condivisione.

Per una mattinata, messi da parte i panni della contrapposizione inevitabile tra due toghe che però fanno un diverso mestiere, la sintonia magistrati-avvocati appare sensibile. Ecco Margherita Cassano, la prima presidente della Cassazione, narrare della “comune responsabilità che grava su magistrati e avvocati”. E cioè “concorrere a realizzare lo stato di diritto che si fonda sulla condivisione dei valori sanciti dalla Costituzione”. Che richiede “la tutela effettiva dei diritti fondamentali della persona attraverso la garanzia di un giusto processo”. Già, principi innegabili e incontestabili. In cui “il difensore è un protagonista ineliminabile per garantire il contraddittorio, l’essenza del processo”.

Ed è questo lo spirito del saluto che invia Sergio Mattarella. Quando parla dell’avvocatura e del suo “ruolo fondamentale per l’affermazione e l’avanzamento dei diritti nell’ambito dei bisogni espressi dalla collettività”. E ancora eccolo avvicinare magistrati e avvocati che “insieme, in una convergenza di sforzi, nella comune cultura della giurisdizione e delle garanzie, contribuiscono a dare concretezza al diritto nel quadro costituzionale, nell’interesse della collettività”. Mattarella guarda anche alle riforme processuali “che investono tutti gli ambiti del sistema giustizia, legate fra l’altro agli obiettivi fissati dal Pnrr”.

Tutto questo, quando parla Nordio, sembra diventare un film. Il sempre loquace ministro si guadagna subito una “ola” quando tocca un nervo da sempre a scoperto degli avvocati, il loro ruolo nella Costituzione. E Nordio gli fa sentire proprio quello che loro vogliono udire, che è giusto inserire la loro figura nella Carta, anche se non si spinge fino a dire che nelle tante riforme costituzionali che la maggioranza ha per mano - dal premierato alla separazione delle carriere - se ciò davvero si volesse fare, si potrebbe fare. Ma tant’è, basta per scaldare la platea e portargli consenso.

“Mi sento ancora magistrato, ma devo parlare da politico” dice Nordio che parla a braccio. Ammette che “in Italia la giustizia è carente” perché nessuno ha mai studiato il rapporto “tra il servizio necessario e il budget disponibile”. Per intenderci “un’ora di lavoro per scrivere una sentenza presuppone attività collaterali di cui nessuno finora ha tenuto conto”. Promette, per il 2026, di “coprire l’organico dei magistrati” quell’organico attuale “inadeguato ed esiguo”, parla dei tre concorsi in itinere e dell’ultimo bandito da lui medesimo “per 400 posti”. Finalmente nega che ci potranno essere “concorsi straordinari, come hanno scritto in giornali suscitando allarmi infondati” (in realtà erano bozze di testi legislativi usciti proprio da palazzo Chigi…). E poi eccolo vantare “la misura più rivoluzionaria, aver introdotto un avvocato nel nostro ufficio legislativo, dopo anni in cui via Arenula era descritta come una casta di magistrati, solo perché finora non ci si poteva permettere il costo dello stipendio di un avvocato”. Nuove “ola” dalla platea.

E siamo a Pinelli, il guastafeste. I suoi speech sono sempre assai complicati, bisogna sforzarsi per capire con chi ce l’ha e cosa vuol dire. Il nostro avvocato parla difficile. Ma stavolta l’attacco al processo mediatizzato è lampante. Ce l’ha con la stampa Pinelli, tant’è che giusto domani ha deciso di tenerla fuori dalla grande cerimonia nel suo palazzo che “archivia” gli storici “marescialli” per onorare Giovanni Bachelet, il giurista cattolico assassinato dalla Brigate rosse alla Sapienza nel 1980. E sarà suo figlio Giovanni a ricordarlo. Non più dunque, per lui, la sala del plenum com’è stato per 40 anni, ma tutto l’edificio.

Ma oggi, davanti ai suoi colleghi avvocati, Pinelli tira un fendente ai giornalisti per quel processo che, a suo dire, diventa spettacolo perdendo in giustizia. Parole come pietre. “I guasti della giustizia mediatica, dove si smarrisce il senso autentico del processo come ricerca condivisa della verità per la suprema garanzia dei diritti, dell’onorabilità, della libertà e dove talora persino la vittima - sia detto con il massimo rispetto - è fatalmente portata dalla logica mediatica ad assumere un ‘ruolo’ improprio al pari del giudice sottoposto alle pressioni del pubblico ministero preteso vindice”. Eccoli qua i cattivi, il pm e i cronisti. Interferenze “potenziali e sottili” che addirittura metterebbero alla prova “la capacità di resistere del magistrato”, al punto che la toga stessa rischia di non percepirne subito il disvalore. Sarà per questo, per il nocumento della visibilità mediatica, che in un giorno storico come quello dei “marescialli” che spariscono Pinelli non ha voluto alcun cronista tra i piedi.