di Marcello Pesarini
Ristretti Orizzonti, 17 ottobre 2024
Manuel e Leonardo, gli ultimissimi ragazzi morti, il primo assassinato, il secondo spinto al suicidio perché la sua vita era diventata insopportabile a causa delle persecuzioni di sconosciuti amici e compagni di scuola. Quante persone sono spinte al suicidio in carcere, oppure perché non hanno più speranza di lavoro e sono ancora in età produttiva, ma nessuno si cura di considerarli più di un prodotto o di un produttore? Su tutte le morti sovrasta la sua ineluttabilità e le fanno corona i necrologi. Ne apprezzo molti e magari li ho scritti anch’io, spinto dal dolore che mi esplodeva incontrollabile. Ho la sensazione di vivere in una società dannosa, sia nei corpi che negli anticorpi.
Ci sono, ci devono essere delle risposte minime uguali per tutti: se un lavoratore pakistano che si è ferito a morte durante il lavoro e il suo corpo viene portato davanti all’abitazione, col messaggio esplicito “Non ci serve più, sbrigatevela voi”, significa che questo gesto è permesso, o comunque non è esecrato come dovrebbe. Se 5 operai anche specializzati, giovani, muoiono perché un treno alla cui strada stanno lavorando, arriva non segnalato, e li travolge, questo lavoro è considerato nei fatti accessorio, che ci sia o non ci sia non preoccupa chi lo organizza. Non sono accuse lanciate con faciloneria, ma ragionamenti concatenati fra loro.
I ragazzi muoiono, si tolgono la vita e spesso, si, anche loro non hanno piena coscienza di ciò che fanno, ma se avviene vuol dire che sono rimasti abbandonati, non seguiti, come gli operai, le donne vittime di femminicidio. Ogni morte ha la sua peculiarità: ma ogni morte brutta, resta senza valore in sé, se non la si analizza nella storia, nel contorno. Se lo facessimo non dovremmo muoverci da sedicenti studiosi che cercano la soluzione basandosi su categorie, ognuna con la sua peculiarità. C’è un tratto unificante.
Tutte le morti di cui stiamo parlando sono le morti che avvengono in un paese che sta aprendo un centro per ospitare i rifugiati selezionati non si sa con quale criterio fra quelli intercettati nel mare Mediterraneo. Questo centro aperto in Albania viene fatto passare come una soluzione che rappresenta un buon affare economico per entrambi i paesi, ed un esempio da riprodurre. È l’ennesimo atto di colonialismo, che cambierà anche la vita attorno a Gjader (chi se ne andrà, chi verrà attratto da lauti guadagni come i sorveglianti), sceglierà come cavie i rifugiati ridotti ancora più in catene degli altri, perché diminuiranno i loro diritti dal consultare associazioni che prestano soccorso umanitario e potranno rivolgersi solo al gestore del campo.
Li chiamerei prove generali di privatizzazione delle carceri, ancora una volta partendo da persone la cui morte e i cui mali sono meno importanti di altri. L’Albania, lo racconta la Storia, è un paese che ha dato tanti immigrati all’Europa ed è la nazione che l’Italia voleva invadere nel 1919, appena finita la prima guerra mondiale, e non lo ha fatto per la coraggiosa ribellione dei bersaglieri nella Caserma Villarey di Ancona.
Poi fu invasa con l’inizio della seconda guerra mondiale dai fascisti, e gli stessi al governo hanno architettato questo nuovo “ballon d’essai”. Se questi sono i principi sui quali viene amministrato il nostro paese, le cause di queste morti che non valgono nulla e stanno aumentando a vista d’occhio, vanno cercate anche in chi amministra l’Italia e in chi non si oppone.