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di Giusi Fasano

Corriere della Sera, 25 marzo 2024

Domani seppelliremo quel che resta di una ragazza di 18anni che aveva osato sognare e che, sognando, aveva cercato la libertà fra le sabbie mobili di una barbarie che ci ostiniamo a chiamare “cultura”. “È la loro cultura”, “è una questione culturale”... ci raccontiamo spesso quando sentiamo storie che per noi - da questa parte del mondo - sono inconcepibili. Storie di precetti religiosi, di tradizioni incivili, di usanze inumane che quasi sempre prevedono l’oppressione della donna. Beh, domani, proviamo a fare a meno di accostare quella parola, cultura, al nome di Saman. Un piccolo gesto per lei.

Perché Saman Abbas - la ragazza pachistana che seppelliremo a Novellara, nel Reggiano - è stata uccisa dall’inciviltà, dall’arretratezza, dalla ferocia, dall’oscurità, dall’ignoranza, dalla disumanità, dall’incultura di quella “cultura” che per noi è malvagità e che non possiamo accettare. Tre anni fa, in questi stessi giorni, Saman, aveva ancora il coraggio e la speranza di andare incontro a un futuro luminoso.

Magari con il suo fidanzato, Saqib, magari all’università: due cose fra le tante che i suoi genitori non le avrebbero mai consentito, se fosse rimasta a vivere con loro. Ma lei aveva scelto di essere libera, di uscire dalla prigione della sua famiglia che la voleva per forza sposa di un cugino scelto da suo padre e sua madre, in Pachistan. E poi si era messa in testa di andare a scuola e di togliere il velo, quella figlia senza vergogna.

Ma nei pensieri di sua madre e suo padre il vento nei capelli e il sapere non servono per fare la madre, la moglie, la donna ubbidiente e sottomessa in qualche casa del suo Paese d’origine. Ha fatto un solo errore, la nostra amica Saman. E cioè fidarsi di sua madre che l’aveva pregata con un sms di tornare a casa “e stai tranquilla”, era la sostanza della sua menzogna, “non farai niente che non vuoi fare”. Il male era lì, in casa, e lei gli è andata incontro senza diffidenza. È finita come sappiamo. Saman in una stanza che sente dire dall’altra parte del muro “uccidiamola”.

Chissà come le tremavano le mani mentre scriveva l’ultimo messaggio al suo Saqib per chiedergli di dare l’allarme “se non hai mie notizie entro 48 ore”. Suo zio l’ha strangolata con la benedizione di mamma e papà. Meglio morta che libera, hanno concordato soddisfatti. E la cosa peggiore è che a loro è sembrato giusto così.