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di Valentina Petrini

La Stampa, 26 novembre 2023

Solo nella capitale oltre 500mila in piazza: si invocano i diritti senza colore politico. “Avevo 13 anni la prima volta che ha abusato di me, lui cinquanta. Era il mio allenatore di nuoto”. V. mi dà appuntamento in un bar vicino alla stazione Termini. È venuta a Roma per la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Non posso dirvi molto di lei, la sua famiglia non conosce questa storia. Nonostante siano passati molti anni. Posso però, anzi devo, raccontarvi il suo calvario: “Perché non capiti a nessun’altra - mi dice - non ci crederai ma è un pensiero che mi aiuta a sentire meno il dolore, ad andare avanti”. Ha subito violenze per un anno, tra i 13 e i 14 anni. “Mi diceva che mi amava e che non dovevo dire niente a nessuno perché non ci avrebbero capito e - soprattutto io - sarei stata giudicata male”. Perché tu e non lui? Le chiedo. “Perché io ero consenziente, mi ripeteva. Anzi, ero stata io a corteggiarlo, a mandargli messaggi provocatori. O almeno questo era quello che lui mi ripeteva e quello a cui io ho creduto”.

Quella di V. è una delle migliaia di storie nascoste dietro i volti in piazza a Roma, Messina, Milano, Torino e in tanti altri Comuni che, da Nord a Sud, hanno avuto le strade invase dall’onda fucsia per ribadire gli slogan contro ogni violenza sulle donne. V. oggi è una donna di quasi quarant’anni. Vive sola, fa la veterinaria. Non ha figli, non è innamorata. “Anni di analisi sono stati necessari per non ammazzarmi, per capire che non era colpa mia. Ma per riuscire a innamorarmi e fidarmi di un uomo, forse mi servirà un’altra vita”. V. non aveva mai nemmeno dato un bacio la prima volta che è stata abusata. Non era consenziente nessuna delle volte in cui lui l’ha violentata. V. era ed è la vittima. “Mi ha plagiata, strumentalizzata, isolata. E aveva anche due figli, una della mia età. Come ho fatto a non salvarmi”. Eri piccola maledizione, sorella io ti credo. “La prima volta che mi ha messo le mani addosso non sono riuscita a muovermi. Non ho nemmeno pianto. Quando ha finito, gli ho chiesto se potevo andarmene e lui mi ha risposto: ti è piaciuto? Gli ho detto di sì per il terrore che non mi facesse andare via e mi facesse ancora male”. V. per giorni non esce di casa. Smette di mangiare. Si rifiuta di alzarsi dal letto e di andare a scuola. Non parla con nessuno. Nemmeno con una coetanea, un’amica. “Mamma era disperata, poverina. A un certo punto le raccontai che mi ero innamorata di un ragazzo che però non mi voleva e quindi stavo male. Una bugia. Lei però mi ha creduta e così ha smesso di torturarmi con mille domande”.

V. torna in classe, non sorride mai. A nuoto non si fa più vedere. A sua madre dice che vuole cambiare sport. Un giorno però lui riappare. Si fa trovare fuori da scuola in macchina. Le fa cenno di salire. Lei resta immobile. Lui la fissa cattivo. Lei a quel punto si fa coraggio e si avvicina al finestrino. “Entra o chiamo i tuoi genitori e racconto tutto”. V. sgrana gli occhi. Continua a sentirsi carnefice non vittima. Apre lo sportello, sale e va verso il suo destino. Un campo isolato in cui lui abuserà ancora di lei. E poi ancora, e ancora. La riempie di regali. Lei li butta sistematicamente senza mai portarli a casa. Lui le ripete che la ama e che ha raccontato tutto di loro anche ad alcuni suoi amici. “Finché una mattina in classe sono scoppiata a piangere all’improvviso senza un preciso motivo. Sono andata in bagno ho vomitato. C’era un ragazzo, mio coetaneo che mi voleva molto bene, era gentile e premuroso. Mi offrì il suo aiuto e io senza sapere perché, gli raccontai tutto”. È la svolta, finalmente. V. capisce che non deve farsi toccare mai più. Che parlare, chiedere aiuto è necessario. Lo è altrettanto non girarsi mai dall’altra parte, fare finta di niente, ignorare il dolore altrui. Il giorno dopo quando V. esce da scuola lo vede e inizia a urlare. Indica al suo amico la macchina dello stupratore. Lui coraggioso, ha solo 15 anni, gli va incontro, ripete ad alta voce: “Vattene. Ho chiamato la polizia”. Non era vero, ma l’uomo si spaventa, mette in moto e se ne va. Per sempre. “Se solo avessi parlato prima, magari anche con mia madre, poverina. Lei non immagina il mio dolore. Sono felice sia morta senza sapere”.

Ieri V. era vestita di nero, con un fiore rosso sul cappotto. Ha sfilato per le vie di Roma insieme ad altre centinaia di migliaia di persone. Con lei c’era l’amico di adolescenza, quello che l’ha salvata, che le ha creduto, che le ha teso una mano. Quello che non ha fatto finta di niente e non l’ha mai più lasciata. Si guardano, si stringono per il freddo gelido di tramontana che soffia forte, ma che non ha scoraggiato nessuno, nemmeno i bambini. Che hai imparato da questo dolore? Le chiedo prima di lasciarla andare. “Che aiutare può fare la differenza. Se lui non mi avesse teso una mano io forse sarei una donna morta adesso. Ci penso spesso”. La saluto e tengo per me un pensiero che mi tormenta: c’è uno stupratore libero in giro, padre di due figli che chissà se ha fatto del male a qualcun’altra. Denunciate per favore.

Mi riprendo. Vado da mio figlio. Anche noi insieme sfileremo per il centro di Roma con fischietti e foulard fucsia. Raggiungo un gruppo di amici con altri bambini. Quando arrivo mi domandano: “È vero che la manifestazione è pro Palestina e contro Israele?”. Apro i siti, recupero velocemente la polemica politica. Leggo di Renzi e Calenda che hanno rinunciato ad esserci perché quella di Non Una Di Meno “è una piazza pro Hamas”. Ho ancora il racconto di V. nelle orecchie. La polemica mi disturba. Le attiviste, organizzatrici delle due manifestazioni nazionali a Roma e a Messina per il 25 novembre, rispondono: “La piazza è aperta in modo apolitico e apartitico. Non ci saranno bandiere e nessun simbolo. Una piazza contro la violenza di genere e contro il patriarcato”. Sento un brivido lungo la schiena: veramente mentre ancora non abbiamo seppellito l’ennesima vittima di femminicidio, è questa la nuova strumentalizzazione politica? Arriviamo a Circo Massimo, il colpo d’occhio è impressionante. Mai così tante. Mai così tanti. “Nessun leader qui tra noi può sentirsi a casa - Paola, 38 anni, separata, due figli, architetto. - Non esiste oggi altra piazza altrettanto autonoma e indipendente da bandiere di partito e sindacati. Forse è questo che spaventa. La trasversalità di un movimento mosso solo da una ragione: i diritti”. “Parlare di “Violenza di Stato” spaventa le istituzioni, perché sanno di essere colpevoli di un ritardo culturale che ancora oggi fa credere a molti uomini che la colpa di uno stupro è della donna”. Giorgia, 23 anni, studentessa di biologia. “C’è poi chi strumentalizza il dibattito trasformandolo in una gara di affermazioni qualunquiste”. Tipo? “Tipo che le nuove generazioni sarebbero peggio di quelle passate. Ma chi l’ha detto? Qualche ultrasessantenne nostalgico del delitto d’onore?”.

In fondo al corteo a tarda sera conto una ventina di bandiere palestinesi, una con falce e martello. Me le sono dovute andare a cercare. L’unica bandiera che invece predomina è la marea fucsia. “Io studio Statistica. Per me i numeri dicono tante cose. Il 39,3% degli uomini intervistati dall’Istat pensa che una donna possa sottrarsi a un rapporto sessuale se davvero non lo vuole. Questo dato è un cancro”. Mario, 29 anni. Cita alcuni dati provvisori (maggio-luglio 2023) della ricerca Istat su “Stereotipi di genere e immagine sociale della violenza”. “Il 20% pensa inoltre che la violenza sia provocata dal modo di vestire delle donne. Non è colpa di tutti gli uomini certo, ma ora capite perché ad essere colpevoli sono però sempre gli uomini?”. Lo dice un uomo. Guardo mio figlio e penso: c’è speranza. Il livello delle risposte alle mie domande è molto alto, di certo superiore a quello di alcuni talk televisivi di questi giorni sul tema. Cosa dite a chi ridimensiona il numero di femminicidi italiani citando i numeri più alti di paesi del Nord Europa? “Ti rispondo io - mi blocca Claudio - che ho una moglie svedese e conosco il caso in Svezia. La statistica in questo caso dà un’immagine errata della situazione. In Svezia ogni atto di violenza sessuale viene registrato come una denuncia a sé stante. Significa che se una donna è stata violentata più volte dalla stessa persona comunque viene conteggiata ogni singola violenza subita. I numeri sono importanti, ma bisogna saperli leggere. I nostri politici e anche alcuni giornalisti hanno invece solo l’interesse di affossare il livello culturale del confronto. Ma poi perché? Per difendere il governo Meloni contrario all’educazione sessuale nelle scuole? Che Paese incivile”.

In verità sulla Svezia andrebbe detto, ma chissà perché nei talk non c’è mai tempo, che nel 2018 è entrata in vigore la nuova legge sul consenso esplicito. La definizione giuridica svedese di cos’è stupro è più ampia che nella maggior parte degli altri Paesi. Sabato, a Roma, ho visto qualcosa di unico. La politica dei diritti trasversali ha sfilato da sola, autonoma, senza il bisogno di nessun partito a farle da padre. È qualcosa di nuovo. Negarla potrà solo che farla crescere ancora.