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di Errico Novi

Il Dubbio, 14 marzo 2022

Tra gli studiosi e gli scienziati del diritto non sono così numerosi i nomi pronti a sfidare il conformismo minaccioso dell’antimafia. Ma chi ha il coraggio di farlo, ne ha anche l’autorevolezza.

È il caso di Valerio Onida, presidente emerito della Corte costituzionale, che nei mesi scorsi, in più di un articolo firmato sul Corriere della Sera, ha spiegato i motivi per cui i suoi successori alla Consulta non potevano che travolgere le ostatività dell’ordinamento penitenziario. Gli abbiamo chiesto cosa pensi delle polemiche sulla scelta ipotizzata dalla ministra Marta Cartabia per il nuovo vertice del Dap.

Davvero il dottor Carlo Renoldi merita l’ostracismo che gli è stato riservato da colleghi come Di Matteo e partiti come Lega e 5 Stelle?

Sulla scelta del nuovo capo del Dap condivido pienamente il giudizio positivo e non condivido le critiche. È essenziale che alla testa del dipartimento sia una persona che crede fino in fondo in un carcere conforme ai principi costituzionali, secondo cui le pene detentive vanno scontate in ambienti che escludano radicalmente “trattamenti contrari al senso di umanità” e le pene, tutte le pene, “devono tendere alla rieducazione del condannato”. Da questo punto di vista ritengo che la scelta della ministra sia atta ad evitare fatti e fenomeni come quelli di Santa Maria Capua Vetere.

Renoldi ha osato avanzare critiche sul 41 bis...

Il 41 bis ha una lunga storia, e bisognerebbe ricostruirla. Rispetto alla originaria formulazione, che faceva riferimento soprattutto a ipotesi eccezionali di emergenza, posso per ora ricordare solo come vi sia stata una successiva e tormentata evoluzione, la quale ha finito per disegnare un regime carcerario speciale per i mafiosi, che rischia di andare a collidere con le regole e gli intenti generali del regime carcerario normale ispirato ai principi costituzionali. Ma su questo bisognerebbe ricostruire la storia ed esaminare partitamente i singoli capitoli.