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di Giuseppe Gargani

Il Dubbio, 17 novembre 2023

Le sentenze hanno stabilito che le indagini per una percentuale enorme erano fasulle perché i pubblici ministeri volevano scrivere a modo loro la storia d’Italia. Ogni italiano deve augurarsi che la sentenza della Cassazione sulla trattativa Stato-Mafia ponga fine alla lunga telenovela di mafiopoli e deve constatare con soddisfazione che da un po’ di tempo è finita anche la telenovela di Tangentopoli.

Le sentenze hanno stabilito che le indagini per una percentuale enorme erano fasulle perché i pubblici ministeri volevano scrivere a modo loro la storia d’Italia. Non si può non riconoscere, a distanza di tanti anni, che, sia le indagini di “Tangentopoli” che quelle che riguardano in particolare la mafia sono state utilizzate per “fare la storia”, per inventare una “storia” addomesticata, una “storia” legata ad indagini giudiziarie non verificate, date come vere e diffuse mediaticamente ad un pubblico emotivo e rancoroso.

“Mani Pulite” la storia puntava a condizionarla, a modificarla; e “mafiopoli” la storia ha puntato a ricostruirla ad uso e consumo di tesi politiche e di teoremi improvvisati senza tenere conto delle oggettive responsabilità. Nel 2021 ho scritto un libro dal titolo La storia fatta con le manette. Storia d’Italia e di magistrati che hanno provato a riscriverla. Nel libro riportavo una frase di Natalino Irto: “La soggezione del giudice alla legge, tenuta per principio del moderno Stato di diritto e pure accolta nella nostra Carta costituzionale, non è soltanto garanzia di autonomia e indipendenza, ma anche misura e limite della potestà giudiziaria”.

A lui non si chiede di ricostruire un tratto di storia “generale”, politica o etica o religiosa, ma di accertare quei fatti, e soltanto quei fatti, che, mostrandosi conformi alle figure normative (alle cosiddette “fattispecie” del lessico giuridico), esigono l’applicazione della legge. Da lui non si attende un giudizio sull’epoca storica che rimane sottomessa all’hegeliano “tribunale del mondo” - ma la più angusta e povera indagine circa i fatti rilevanti per la legge, cioè per un certo e specifico comando normativo.

Come si può ben vedere la Cassazione si attiene proprio a questi canoni e condanna i pubblici ministeri che hanno voluto dar corpo ad una storia non vera e con rigore ristabilisce la verità giudiziaria. Dunque i partiti e i responsabili delle istituzioni hanno rispettato la loro funzione non si sono mai sognati di fare trattative con la mafia. Dunque centinaia di migliaia di pagine se non milioni, sono state scritte per indagare inutilmente su tanti politici, e su servitori dello Stato, e che sono state azzerate con le 95 pagine di una sentenza non fumosa ne sociologica ne “storiografica” ma concreta come si conviene ad un giudice. Sono state spese ingenti somme per i pregiudizi dei pubblici ministeri che, a differenza di quello che sosteneva Falcone, volevano “arrivare” al terzo livello della politica!

Orbene è necessario ripetere alcune argomentazioni che facciamo da anni per tentare di costruire un rapporto equilibrato tra la magistratura e la politica. Il ruolo del magistrato che oggi è diverso da quello stabilito dalla costituzione non può essere dilatato fino a sostituirsi al legislatore, o alla politica e potrei dire alla inevitabile faziosità della politica. La prevalenza del giudiziario sulle altre istituzioni non fa bene alla Repubblica democratica ma svilisce il ruolo di entrambi. Nella sentenza che assolveva il ministro Calogero Mannino era scritto che gli uditori giudiziari avrebbero dovuto leggere la sentenza precedente di condanna di Palermo per capire come non si scrive una sentenza e come non si fa un processo.

Nelle motivazioni della attuale sentenza della Cassazione è scritto che i giudici di Palermo “hanno finito per smarrire la centralità dell’imputazione nella trama del processo penale, profondendo sforzi imponenti nell’accertare fatti spesso poco o per nulla rilevanti nell’economia del giudizio”.

E quando hanno affrontato i reati, i giudici siciliani si sono dimenticati che la colpevolezza va dimostrata “ogni ragionevole dubbio”. Solo in questo modo, aggiunge la Corte, si è potuto sostenere che il Governo - prima Ciampi, poi Berlusconi - abbia preso decisioni in ossequio alle minacce di Cosa Nostra. A queste minacce le sentenze hanno dedicato un ruolo cruciale, ma le hanno ricostruite in modo “minimale”, affogando il dettaglio in un mare di fatti irrilevanti: “Le motivazioni delle sentenze hanno assunto, sia in primo, che in secondo grado, una mole imponente (5.237 pagine in primo e 2.971 pagine in secondo grado), tale da offuscare le ragioni della decisione e rendere le linee argomentative di difficile identificazione e interpretazione”“. La Cassazione scrive “profondendo sforzi imponenti nell’accertare fatti poco o per nulla rilevanti” bacchetta il giudice con marcata ironia che è peggio del rimprovero!

Nella ricostruzione dei pm palermitani che per anni anche con le mille trasmissioni televisive trasmesse come verità assoluta in riferimento costante è ai favori che Cosa Nostra per far cessare le stragi; e Mori e Del Donno sarebbero stati mediatori e avrebbero minacciato lo Stato. Senza le prove bastava far prevalere il buon senso!

È stato rilevato che si tratta di vizi già criticati in altri processi, mentre ad essere inedito, e contundente, è quell’aggettivo: “storiografico”. Il diritto, la giustizia, sono un’altra cosa: e dunque la Cassazione stabilisce un principio che era stato smarrito da molti anni. Infine la Cassazione dice che: “Le sentenze hanno optato per un modello di ricostruzione del fatto penalmente rilevante condotto secondo un approccio metodologico di stampo storiografico”. Invece anche quando si tratta di fatti di estrema rilevanza, il giudice deve limitarsi “all’accertamento dei fatti oggetto dell’imputazione”.

Questo è quello che sostiene un grande giurista come Natalino irti e con un po’ di presunzione ho cercato di dimostrare nel mio libro. È fallito il tentativo di imporre agli storici del futuro una storia giudiziaria falsa e confusa. Il compito nostro attuale è eliminare questi che sono diventate verità non vere per il pubblico “idola tribus’” e scrivere la storia vera dei partiti e degli uomini delle istituzioni. Sostengo da tempo che nell’epoca moderna per il ruolo che il giudice ha rispetto al passato bisogna trovare un equilibrio tra indipendenza e responsabilità dei giudici.

Il pubblico ministero che è una parte del processo non può certamente far prevalere i suoi pregiudizi e le sue convinzioni ma deve solo trovare le prove e solo quelle rispetto alla “imputazione”. E dunque, deve essere “responsabile”. Ma gli attuali pubblici ministeri, dopo aver fatto per anni indagini poi smentite, che hanno umiliato personaggi importanti della politica del nostro paese, e corretti servitori dello Stato, potrebbero almeno presentare le loro scuse?!