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di Costantino Cossu

Il Manifesto, 20 dicembre 2023

Il 20 ottobre Irene Testa ha sollecitato la Procura, “ma dalle autorità giudiziarie non è arrivata alcuna risposta”. Anche l’avvocata della famiglia del detenuto morto a Massama, per otto volte ha richiesto che l’esame venisse eseguito: richiesta negata. Inutilmente Irene Testa, garante in Sardegna delle persone private della libertà personale, chiede che sia effettuata l’autopsia sul cadavere di Stefano Dal Corso, il 42enne trovato morto nella sua cella nel carcere di Massama, a Oristano, il 12 ottobre 2022. Dopo che, la settimana scorsa, la famiglia del detenuto ha rivelato di essere stata contattata da un testimone che avrebbe fornito le prove che Dal Corso non si è suicidato, come sempre è stato detto da polizia e giudici, ma è stato ucciso, Testa si è immediatamente attivata. “Ma sinora - racconta al manifesto - dalle autorità giudiziarie non è arrivata alcuna risposta”.

Quando ha presentato domanda di autopsia alla Procura?

Risale al 20 ottobre la mia richiesta formale. Ho ritenuto mio dovere sollecitare la Procura della Repubblica di Oristano a disporre con urgenza l’autopsia del corpo di Stefano Dal Corso.

La famiglia solleva dubbi pesanti, parla di omicidio…

Certo, ci sono i timori della famiglia innanzitutto. Domande alle quali credo sia necessario dare una risposta certa. E c’è un interesse più vasto al pieno accertamento dei fatti. Un interesse che non può essere ignorato, perché è un generale interesse di giustizia. Ma anche al carcere di Massama, alla dirigenza e agli agenti, dovrebbe importare che sulla vicenda sia fatta piena luce e che tutti gli elementi di incertezza e di dubbio a carico del personale di custodia che si sono manifestati in questi giorni siano risolti. L’esame autoptico è l’unico in grado di stabilire come siano andate davvero le cose, l’unico che possa fugare ogni dubbio sulle cause della morte di Dal Corso. Va fatto subito.

Qual è la situazione delle carceri sarde?

Molto seria. Non c’è solo sovraffollamento. C’è una cronica mancanza di organici tra gli agenti penitenziari e c’è una carenza grave nell’assistenza che dovrebbe essere riservata alle patologie psichiatriche di varia natura e agli stati critici legati alle dipendenze, due condizioni che nelle carceri interessano una percentuale altissima delle persone private della libertà. Sulle patologie psichiatriche, in particolare, ho da poco inoltrato una lettera al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, per fare emergere una situazione inaccettabile e per sollecitare soluzioni urgenti, nei penitenziari sardi ma anche in quelli del resto del paese.

C’è sempre, in chi gestisce le persone private della libertà personale, la consapevolezza che la pena, a termini di Costituzione, ha un fine di riabilitazione?

È un terreno sul quale noi garanti siamo impegnati quotidianamente. C’è ancora molto da fare.

Irene Testa non è l’unica ad avere sollecitato inutilmente l’autopsia. L’avvocata della famiglia di Dal Corso, Armida Decina, per otto volte ha richiesto che questo esame venisse eseguito, ma la Procura lo ha sempre negato. La settimana scorsa Decina ha presentato un’altra istanza, questa volta dopo una rivelazione choc da parte di un testimone: un agente penitenziario secondo il quale Dal Corso sarebbe stato picchiato da un gruppo di guardie e poi ucciso con un colpo di spranga all’osso del collo per simulare un suicidio per impiccagione.

“Sono stata contatta da un agente penitenziario - ha raccontato nei giorni scorsi ai giornalisti Marisa Dal Corso, la sorella del detenuto morto -. L’ho incontrato, indossava un cappuccio. Non l’ho visto in volto e non so chi sia. Abbiamo registrato un video. Mi ha detto che Stefano è stato picchiato da cinque suoi colleghi e poi ucciso”. “Secondo il suo racconto - ha specificato Marisa Dal Corso - mio fratello, andato in infermeria per ritirare alcune medicine, ha casualmente sorpreso due agenti durante un rapporto sessuale”. Da lì sarebbe cominciato il calvario di Dal Corso.

Stando alla testimonianza raccolta dai familiari, l’uomo sarebbe stato portato in cella e poco dopo trasferito in una stanza usata per picchiare i detenuti. Qui lo avrebbero pestato con i manganelli. Infine, con un colpo di spranga, gli avrebbero rotto la colonna cervicale per far credere che si fosse impiccato. La testimonianza registrata dai familiari è stata consegnata alla Procura della Repubblica di Oristano, che ne vaglia i contenuti ma intanto nega l’autopsia.