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di Andrea Aversa

L’Unità, 19 dicembre 2023

Aveva 43 anni, un’ex compagna e una figlia. Ha perso la vita il 12 ottobre del 2022. Il caso è stato chiuso: per gli inquirenti è stato un suicidio. Ma un audio giunto alla sorella Marisa e al suo avvocato Armida Decina, segnerebbe una svolta per le indagini, intanto riaperte: la vittima potrebbe essere stata uccisa. L’autopsia chiarirebbe tutto ma l’autorità giudiziaria continua a negarla.

Un decesso in carcere. Uno dei tanti che ogni anno avvengono dietro le sbarre. Caso chiuso. Per l’autorità giudiziaria Stefano Dal Corso, 43 anni, si è suicidato. Per questo sulla salma è stata negata l’autopsia. Ma la parente di un altro detenuto ha rivelato che il 43enne potrebbe essere stato ucciso. L’avvocato Armida Decima che assiste la sorella della vittima Marisa, ha chiesto che le indagini venissero riaperte. La sua istanza è stata accettata ma l’inchiesta è da allora praticamente in stallo.

Lo scorso ottobre il parlamentare Roberto Giachetti ha presentato un’interrogazione al ministro della Giustizia Carlo Nordio. Quest’ultimo ha risposto a tutto tranne alla cosa più importante: quali sono i casi di morte accaduti nei penitenziari italiani, per i quali l’autorità giudiziaria non ha predisposto l’esame autoptico, facendo un distinguo tra omicidio e suicidio. Infine, l’ultimo capitolo di questa tragica storia. La telefonata di una fonte ‘misteriosa’ che ha detto a Marisa Dal Corso che il fratello è stato massacrato di botte e il suo suicidio una messa in scena.

Sono queste, sinteticamente, le fasi che hanno caratterizzato la vicenda. L’unica certezza è rappresentata dall’insieme di dubbi e punti oscuri che hanno caratterizzato la scomparsa di Stefano Dal Corso. Quest’ultimo era nato a Roma, aveva una compagna con la quale ha avuto una figlia di sette anni. Problemi di tossicodipendenza, il 43enne è entrato in carcere, a Rebibbia, nell’agosto del 2022 a causa di una condanna per estorsione. Il 4 ottobre successivo, Dal Corso è stato trasferito nel penitenziario di Oristano. Due giorni dopo ha presenziato a un’udienza che lo vedeva coinvolto in un altro processo. Il 12 ottobre, un giorno prima del rientro a Roma, il 43enne è stato trovato senza vita nella cella dell’infermeria. Ufficialmente si è suicidato, impiccandosi. A dimostrare questa ipotesi, è stato un taglierino artigianale che la vittima avrebbe usato per tagliare la stoffa necessaria per ottenere un cappio. Il lenzuolo, infatti, è stato trovato mancante di una sua parte.

Ma il messaggio ricevuto dalla sorella Marisa ha cambiato le carte in tavola: Stefano sarebbe stato pestato, calci, schiaffi e pugni. Una punizione esemplare per il 43enne colpevole di aver visto due agenti o operatori, protagonisti di un rapporto sessuale. Ma la cosa è sfuggita di mano e la violenza si è trasformata in furia omicida. Resosi conto del misfatto, gli aguzzini avrebbero spaccato l’osso del collo di Stefano con una manganellata e simulato il suicidio. La fonte misteriosa ha persino detto di essere in possesso degli abiti sporchi di sangue della vittima. Vestiti, secondo quanto rivelato, sostituiti con capi puliti, poi messi dagli assassini sulla salma del 43enne. Un insieme di elementi che dovrebbero portare l’autorità giudiziaria a disporre l’autopsia sul cadavere della vittima. Solo l’esito dell’esame autoptico può chiarire la causa del decesso di Dal Corso. Una decisione che fino ad ora la procura non ha preso. E qui veniamo ai punti ‘oscuri’ del caso. Quelli che la giustizia dovrebbe chiarire:

Perché Stefano Dal Corso avrebbe deciso di togliersi la vita? La psicologa del carcere nei suoi rapporti ha parlato di un uomo pronto a ricominciare. Pronto a smettere con la droga e di volersi riprendere la propria vita. Pronto a tornare da sua figlia;

In Italia l’autopsia sulle salme di detenuti deceduti, anche per suicidio, è sempre stata eseguita? Se sì, perché l’autorità giudiziaria si ostina a non disporla per Stefano Dal Corso?

Perché, in merito, il ministro Nordio non ha fornito una risposta precisa all’interrogazione parlamentare fatta dall’onorevole Giachetti lo scorso 16 ottobre?

Perché il ministro Nordio non ha chiarito quest’ultimo aspetto nonostante abbia ammesso l’esistenza delle tante ‘zone d’ombra’ che hanno caratterizzato il caso?

Perché le indagini, riaperte lo scorso 4 ottobre (dopo un’istanza presentata a luglio) in base ad alcune rivelazioni, sono rimaste in una sorta di ‘stallo’?

Perché il foglio delle presenze e degli orari di entrata e uscita, delle persone che hanno lavorato nel reparto di infermeria il 12 ottobre, è stato compilato a penna risultando illeggibile per avvocato Decina? (la stampante che ha regolarmente funzionato il giorno prima, l’11, sarebbe stata guasta. Il legale è ancora in attesa del foglio del 13 ottobre).

L’avvocato Decina ha chiesto i video delle telecamere di sorveglianza, registrati nelle 24 ore in cui è avvenuto il decesso di Stefano. È una coincidenza che proprio in quei momenti non sarebbero state funzionanti?

Invece, il ministro Nordio ha spiegato che il legale difensore dei Dal Corso non ha mai presentato alcuna richiesta ufficiale per l’acquisizione dei video, se non lo scorso 7 aprile. Richiesta respinta dal gip che ha poi archiviato l’inchiesta. L’autorità giudiziaria non dovrebbe dimostrare chi, su questo punto importante, ha ragione e chi torto?

Perché l’autorità giudiziaria non effettua dei rapidi accertamenti sulle persone che hanno contattato l’avvocato Decina e Marisa Dal Corso?

Se dovesse trattarsi di omicidio, perché Dal Corso sarebbe stato ucciso?

A l’Unità, l’avvocato Decina ha spiegato: “La fonte dell’ultimo audio è credibile perché è a conoscenza di meccanismi strettamente legati alla vita in carcere, compresi diversi aspetti e dinamiche amministrative, oltre che operative. Ma non credo ciecamente a tutto ciò che è stato detto. È necessario che l’autorità giudiziaria faccia al più presto degli accertamenti sulla persona che si è messa in contatto prima con me via mail e dopo, in forma anonima, telefonicamente con la sorella di Stefano. Quello che ci ha raccontato coincide in parte con ciò che ciò che già ci aveva detto la parente di un altro detenuto. Le dinamiche sono simili, cambiano gli orari nei quali sarebbero avvenuti i fatti. Non capisco come sia possibile che alla luce di tutti questi elementi dubbi, l’autorità giudiziaria non decida di disporre l’autopsia. Sarebbe l’unico modo per comprendere come Stefano è morto”.

Stefano Dal Corso: Rita Bernardini e Nessuno Tocchi Caino - Anche Rita Bernardini, Presidente di Nessuno Tocchi Caino si è espressa sulla vicenda e ha dichiarato a l’Unità: “È inqualificabile l’ostinazione con cui l’Autorità Giudiziaria continua a respingere la richiesta di autopsia sul corpo del povero Stefano Dal Corso, deceduto più di un anno fa nel carcere di Oristano. Al Congresso di Nessuno tocchi Caino, conclusosi ieri nel carcere di Opera, il dott. Vincent Delbos ex magistrato e ora membro del CPT per conto della Francia, è rimasto sbalordito del caso Dal Corso sottolineando come nel suo Paese l’autopsia sia disposta sistematicamente in caso di morte in carcere. Nessuno Tocchi Caino sostiene in pieno e condurrà ogni iniziativa possibile per la verità sulla vicenda affiancando la sorella di Stefano, Marisa, e l’avvocato Armida Decina che difende la famiglia”.