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di Enrico Carta

La Nuova Sardegna, 18 dicembre 2023

Dopo sette richieste di autopsia respinte, arriva la testimonianza che potrebbe far riaprire il caso sulla morte di Stefano Dal Corso. Trovarsi nel luogo sbagliato nel momento sbagliato. Sentire o addirittura vedere qualcosa che non si poteva né vedere né sentire. Stefano Dal Corso sarebbe morto perché avrebbe assistito a un rapporto sessuale tra due agenti all’interno del carcere di Massama. E quel suo involontario non farsi gli affari propri, assieme all’intervento in favore di un altro detenuto che aveva bisogno di assistenza, gli sarebbe costato la vita. Forse per soffocamento, forse per le botte con un bastone e un manganello che gli avrebbero spezzato il collo.

Dopo sette richieste di autopsie respinte, spunta un super testimone che potrebbe far riaprire il caso del detenuto romano di 42 anni, deceduto nella casa di reclusione di Massama-Oristano. La deposizione, registrata e raccolta nelle scorse settimane dall’avvocata Armida Decina, che tutela la famiglia di Stefano Dal Corso, contiene elementi che hanno convinto i legali a chiedere per l’ottava volta alla procura di Oristano di effettuare l’autopsia sulla salma che si trova custodita in una cella frigo all’interno di una bara di zinco, motivo per cui le sue condizioni sarebbero ancora buone per effettuare un esame medico legale molto preciso, nonostante la morte sia avvenuta il 12 ottobre di un anno fa.

Sono passati quattordici mesi e la famiglia di Stefano Dal Corso mai ha creduto che il loro caro fosse morto per motivi di salute proprio nei giorni in cui si trovava a Massama perché doveva effettuare una testimonianza per un processo in corso al tribunale di Oristano. Era quindi quello che viene definito un detenuto “in transito” e per tale motivo era stato sistemato nella zona dell’infermeria del carcere, dove avrebbe involontariamente assistito a quell’atto sessuale raccontato ora dal super testimone e che avrebbe fatto precipitare la situazione.