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di Giansandro Merli

Il Manifesto, 29 dicembre 2023

Per sette volte avevano detto di No. Ma un audio accusa: il detenuto è stato ucciso. Cambia il capo di imputazione provvisorio: da omicidio colposo a volontario. Ci sono voluti quattordici mesi e mezzo dalla morte di Stefano Dal Corso, ma alla fine la battaglia per la verità della sorella Marisa e dell’avvocata Armida Decina ha ottenuto un primo risultato: sul corpo del 43enne deceduto il 12 ottobre 2022 nel carcere di Oristano verrà effettuata l’autopsia.

Lo ha comunicato mercoledì la procura sarda. Ieri la notizia è stata resa pubblica in una conferenza stampa organizzata all’interno del centro sociale Astra, nel quartiere popolare del Tufello, a Roma, dove Dal Corso è cresciuto. “C’è un’altra novità: insieme alla disposizione dell’esame autoptico è cambiato anche il capo di imputazione provvisorio - ha spiegato Decina - L’indagine resta sempre contro ignoti, ma l’ipotesi di reato è passata dall’omicidio colposo a volontario”.

A modificare l’orientamento dei pm sarebbe stata una telefonata registrata da Marisa Dal Corso in cui un anonimo, presentatosi come ufficiale esterno della polizia penitenziaria, racconta che il detenuto è stato picchiato con spranga e manganello per una decina di secondi. La sua colpa, ha rivelato un articolo di Andrea Ossino su La Repubblica, quella di aver assistito a un rapporto sessuale tra due operatori del carcere consumatosi nell’infermeria. Ciò avrebbe scatenato la vendetta violenta. La testimonianza è stata raccolta il 6 novembre e successivamente depositata in procura. Da allora è stata l’unica novità di rilievo sul caso.

Quelle dichiarazioni, ovviamente, restano tutte da verificare. Senza l’autopsia, però, sarebbe stato impossibile farlo fugando ogni dubbio sulle ragioni del decesso. Precedentemente la procura aveva rigettato per ben sette volte le richieste in tal senso, della famiglia ma anche di Irene Testa, la garante dei diritti dei detenuti per la regione Sardegna (intervistata dal manifesto il 20 dicembre).

L’ultimo No risale allo scorso settembre, nonostante il 4 del mese le indagini fossero state riaperte a seguito di un’istanza depositata a luglio e basata su testimonianze inedite raccolte dai familiari dell’uomo. “Nelle vicende di questo tipo si ha la sensazione costante che le procure giochino contro l’accusa, cioè contro loro stesse”, ha detto ieri Valentina Calderone, garante per i detenuti di Roma che ha preso parte alla conferenza stampa.

Per l’esame sul corpo, che si trova nella cella frigorifera del cimitero romano di Prima Porta, sono state individuate alcune possibili date tra l’8 e il 24 gennaio. I periti medici della procura e quelli della famiglia ne sceglieranno una. Per i risultati definitivi ci vorrà comunque qualche mese, almeno tre.

Dal Corso era finito nel carcere di Oristano per una serie di sfortunate coincidenze. Era stato condannato a una pena inferiore ai due anni ma era recidivo, così la stava scontando ai domiciliari dalla sorella. Ad agosto 2022 è stato sorpreso fuori dall’abitazione, con il cane, e condotto nel carcere di Rebibbia. Nel frattempo era imputato in un altro processo per cui era prevista un’udienza a Oristano.

Siccome sua figlia vive là vicino ha chiesto di parteciparvi in presenza (avrebbe potuto farlo anche da remoto). Il 13 di ottobre sarebbe dovuto ritornare nella prigione capitolina. Il giorno prima è stato trovato senza vita nella cella dell’infermeria dove era recluso. Incrociando immagini e testimonianze gli inquirenti si sono mossi verso un’unica ipotesi: il suicidio.

La sorella, però, non ha mai creduto a tale circostanza. Insieme all’avvocata Decina ha subito denunciato che dal fascicolo mancavano elementi importanti. Per esempio le fotografia del ritrovamento del corpo o quelle dello stesso privo di vestiti, necessarie ad avere un’idea più precisa sulle cause della morte. Per stabilire le quali, comunque, è necessaria l’autopsia.

Della vicenda si è subito interessata la senatrice Ilaria Cucchi (Alleanza verdi e sinistra) e poi il deputato Roberto Giachetti (Italia Viva) e Rita Bernardini, presidente dell’associazione Nessuno tocchi Caino. È stata anche rivolta un’interrogazione parlamentare al ministro della Giustizia Carlo Nordio. “Non si evidenzia alcuna anomalia”, ha risposto il guardasigilli.