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di Giansandro Merli

Il Manifesto, 25 novembre 2023

La data nasce nel 1999, ma prende vita nel 2016 con la nuova esplosione femminista. “Come primissima sensazione ricordo la sorpresa. Non sapevamo cosa aspettarci perché negli anni precedenti era diventata una data rituale. L’impatto con la piazza, invece, fu incredibile”. A colpire Carlotta Cossutta, attivista di Non una di meno Milano, in questo giorno di sette anni fa furono i colori all’uscita dalla stazione Termini. Le organizzatrici della manifestazione contro la violenza maschile sulle donne avevano dato indicazione di indossare il rosa e il fucsia. “Erano ovunque”. Dal 1999 il 25 novembre è la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne, istituita con una risoluzione Onu per ricordare le sorelle Mirabal: Patria, Minerva e Maria Teresa. Tre attiviste politiche dominicane uccise in quel giorno del 1960 per ordine del dittatore Rafael Leónidas Trujillo. In Italia una grande mobilitazione avviene nel 2007, con un corteo nazionale che porta a Roma oltre 50mila donne sulla scia del femminicidio di Giovanna Reggiani, violentata e uccisa il 30 ottobre nella stazione romana di Tor di Quinto.

Poi, per diversi anni, la data torna a essere soprattutto una ricorrenza istituzionale. Fino al 2016, fino al primo corteo nazionale di Non una di meno. Che in realtà fu il 26. Pochi mesi prima, a giugno, alle porte della capitale era stata uccisa e bruciata dall’ex partner una ragazza di 22 anni, Sara Di Pietrantonio. Ne era seguita una narrazione morbosa che aveva spinto diversi gruppi femministi a discutere in assemblea. Da lì l’idea di un incontro nazionale a ottobre e del corteo il mese seguente.

“In Argentina era esploso il movimento Ni Una Menos dopo il femminicidio di Lucía Pérez, mentre la Polonia era scossa dagli scioperi delle donne a tutela del diritto all’aborto - ricorda Serena Fredda, di Nudm Roma - All’assemblea nazionale parteciparono tantissime donne. A colpirci la grande condivisione e sintonia, del tutto inattesa, intorno al tema della violenza intesa come fenomeno strutturale”.

Cosa significa? “Significa - risponde Cossutta - non pensare la violenza contro le donne come un accidente che ci capita, ma come il modo in cui questa società è organizzata: perciò non ha solo natura fisica, ma anche economica o psicologica ad esempio. Significa prendere la violenza come uno specifico posizionamento da cui osservare il mondo per trasformarlo, rifiutando il ruolo della vittima”.

Il tema è uno di quelli che caratterizzano la nuova ondata femminista, anzi transfemminista. Perché è così che si autodefinisce il movimento Nudm. Non tanto, o non solo, per l’attenzione alle soggettività trans e lgbtqia+ quanto per l’idea di intersezione con le questioni di classe, razza e genere, come ha spiegato qualche anno fa la scrittrice e attivista Porpora Marcasciano in un’affollata discussione di Nudm.

Dopo ogni 25 novembre, infatti, a Roma si riunisce un’assemblea nazionale. In quella del 2017 in migliaia hanno approvato il “Piano femminista contro la violenza maschile sulle donne e la violenza di genere”. Al centro i temi che continuano ad animare il dibattito politico: il femminismo come lettura complessiva dell’esistente; l’importanza della formazione per il contrasto alla violenza; il diritto alla sanità e all’autonomia economica; il bisogno di nuovi saperi e narrazioni; la lotta contro il razzismo e per l’ambiente.

Per sette volte prima di oggi, Non una di meno ha portato in piazza centinaia di migliaia di persone nelle strade della capitale, con l’eccezione del 2020 quando causa Covid-19 le mobilitazioni sono state dislocate. Una si è svolta a Lampedusa, perché anche nella propaggine più meridionale d’Italia - come in tanti piccoli comuni del sud, centro e nord, in pianura o in montagna - era nato un collettivo di Nudm. “Ogni volta è diversa dalle altre - afferma Cristiana Cortesi, della casa delle donne Lucha y Siesta - Ogni volta ci rimane addosso una carica di energia incredibile con cui contribuiamo a cambiare la società e la cultura. Cercando di evitare che il 25 novembre diventi una ricorrenza, dopo la quale cala il silenzio fino al prossimo femminicidio”.