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di Alessandra Ziniti

La Repubblica, 5 febbraio 2024

Rivolta al Centro per i rimpatri dopo il ritrovamento del corpo del ragazzo della Guinea che si è impiccato alle sbarre della sua cella. Detenuto da 8 mesi ma l’Italia non ha accordi di rimpatrio con il suo Paese. Chiuso da otto mesi in una gabbia, prima a Trapani e da una decina di giorni a Roma, in strutture sovraffollate e in condizioni indecenti, Ousmane Sylla stava ormai impazzendo. In carcere senza aver commesso alcun reato. Detenzione amministrativa, la chiamano, in vista del rimpatrio per gli irregolari come lui. Peccato che Ousmane in Guinea non lo avrebbero mai rimpatriato, visto che l’Italia non ha alcun accordo con quel Paese. E però, questo ragazzo di 22 anni, con il nuovo decreto Cutro, chiuso in un Cpr ci sarebbe rimasto (inutilmente) per altri dieci mesi. Ma non ce l’ha fatta. E dopo giorni in cui piangeva disperato e chiedeva aiuto, alle 6 di ieri mattina si è impiccato alle sbarre della sua cella.

Dopo aver lasciato, su un muro sporco e scrostato, le sue ultime angoscianti parole scritte con un mozzicone di sigaretta: “Vorrei che il mio corpo sia portato in Africa, mia madre ne sarebbe lieta. I militari italiani non capiscono nulla a parte il denaro. L’Africa mi manca molto e anche mia madre. Non deve piangere per me. Pace alla mia anima, che io possa riposare in pace”.

La rivolta dopo il suicidio - Il cappio tagliato in fretta e furia dai suoi compagni di cella, la corsa verso l’infermeria, la lunga e inutile attesa di un’ambulanza. E poi la furia dei circa sessanta migranti rinchiusi nell’inferno di Ponte Galeria che per ore hanno dato vita ad una sassaiola nei confronti degli operatori prima e delle forze dell’ordine poi nel tentativo di sfondare una porta in ferro e incendiare un’auto. A farne le spese due carabinieri e un militare dell’esercito chiamati in rinforzo e finiti al pronto soccorso dopo una pioggia di lacrimogeni. E un altro Cpr in rivolta e danneggiato dopo gli episodi dei giorni scorsi a Gradisca d’Isonzo e a Milo, in provincia di Trapani, dove il centro che ospitava diverse decine di immigrati è stato pressocché distrutto da un incendio appiccato da loro stessi.

Proprio in seguito a quell’incendio Ousmane Sylla era stato trasferito a Ponte Galeria. Nuove sbarre, nuovo degrado, e la prospettiva di una detenzione ancora lunghissima, fino a 18 mesi quella adesso prevista dalle nuove norme del decreto Cutro. E non importa, se - come sarebbe stato per Sylla - almeno la metà dei migranti rinchiusi è impossibile rimpatriarla.

Il grido d’aiuto inascoltato - “Questo ragazzo era arrivato qualche giorno fa dal centro di Trapani. Venerdì era stato visto disperato da alcuni operatori. Piangeva, diceva che voleva tornare nel suo Paese perché aveva lì due fratelli piccoli di cui occuparsi, altrimenti avrebbero sofferto la fame. Era affranto, disperato per questo. Ha lasciato sul muro un ritratto di sé stesso, con sotto un testo in cui ha scritto che non resisteva più e sperava che la sua anima avrebbe risposato in pace. Centri come questi sono buchi neri del diritto e dell’umanità”, racconta il segretario di + Europa Riccardo Magi andato a Ponte Galeria ieri mattina.

Altri due suicidi nelle carceri italiane - Una tragica fine, quella di Ousmane Sylla, a cui si aggiungono altri due suicidi registrati nelle carceri di Verona e Caserta nelle stesse ore, che riaccende i riflettori sulle condizioni disumane e degradanti dei centri per il rimpatrio che restano uno dei pilastri della politica sull’immigrazione del governo Meloni.

I Cpr che il governo non riesce a realizzare - Pilastro che affonda nelle sabbie mobili visto che delle nuove dieci strutture che da oltre un anno il governo annuncia la realizzazione non esiste neanche l’elenco, che i dieci attualmente aperti sono sempre più devastati da rivolte continue, vere e proprie macchine mangiasoldi per poche società spesso sotto inchiesta (come a Milano e Potenza), e gestite senza il rispetto della dignità delle persone.

L’invito a Piantedosi: “Vada a Ponte Galeria e lo chiuda” - Riccardo Magi di + Europa e Cecilia D’Elia del Pd (anche lei presente a Ponte Galeria) chiedono al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi di andare personalmente a verificare le condizioni indecenti del Cpr. “Sono luoghi di pura afflizione, se si considera che la maggior parte dei detenuti non saranno mai rimpatriati e prolungare la detenzione fino a 18 mesi come ha fatto il governo Meloni è folle. Chiediamo al ministro Piantedosi di visitare questo luogo e di chiuderlo al più presto”. Richiesta a cui si associa anche la garante dei detenuti del Lazio Valentina Calderone: “Non c’è bisogno di aspettare le indagini per poter dire che luoghi come Ponte Galeria sono totalmente disumani. Non c’era bisogno di aspettare la morte di un giovane ragazzo per dire che questi posti vanno chiusi”.

A tappe forzate sul protocollo Albania - Il governo tace e, nell’incapacità di realizzare il suo progetto in Italia, prova ad accelerare sui rimpatri e sull’esternalizzazione delle procedure accelerate di frontiera con il protocollo Albania. Obiettivo la ratifica definitiva del Parlamento questa settimana per dare il via ai lavori e arrivare con i centri aperti prima delle elezioni europee.