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di Rebecca Luisetto

Corriere del Veneto, 12 settembre 2024

Ospiti al Due Palazzi. Gli sposini: “Niente regali, volevamo smuovere gli animi”. Non erano previsti sacchettini di confetti o bomboniere convenzionali al matrimonio di Chiara Bontorin e Jacopo Bonato, la coppia che il 24 agosto ha pronunciato il fatidico “sì” nella chiesetta Torre di San Giacomo di Romano d’Ezzelino, nel Vicentino. Per i loro invitati hanno pensato a un’esperienza che potesse avere un significato profondo, che venisse ricordata nel tempo. Gli sposi hanno così organizzato una visita all’interno del carcere Due Palazzi di Padova grazie all’aiuto di don Marco Pozza, parroco della casa di reclusione, e l’incontro con tre detenuti che stanno scontando pene particolarmente gravi (tra loro c’è anche chi è condannato all’ergastolo). E l’iniziativa è stata tenuta nascosta fino all’ultimo, l’unico indizio che gli amici e i parenti della coppia avevano ricevuto era stato un messaggio inviato loro dai promessi sposi qualche settimana prima del 7 giugno, giorno dell’incontro: “Portate la vostra carta d’identità, presentatevi a questo indirizzo e preparatevi per rimanere alcune ore senza telefono ed effetti personali”, c’era scritto.

L’indirizzo era quello di via Due Palazzi e alcuni degli invitati hanno pensato che potesse essere un semplice punto di ritrovo o che in quell’occasione avrebbero collaborato con una delle associazioni che lavorano con i detenuti, ma nessuno di loro aveva lontanamente immaginato che sarebbero entrati all’interno del carcere. Nonostante la segretezza, gli invitati si sono presentati, quasi tutti. “Non ci aspettavamo che venissero in così tanti - ha detto Jacopo Bonato, lo sposo - e invece erano addirittura in 70. Tra loro c’era chi ha spostato le ferie pur di esserci e chi è tornato prima da un viaggio di lavoro. Per noi è stato spiazzante e bellissimo, un’emozione molto forte”. Ma come è nata un’idea come questa? “Lo scorso anno io e Chiara abbiamo partecipato ad alcuni inno contri con don Marco con cui si è creato un rapporto di amicizia - ha continuato lo sposo - e una volta che abbiamo deciso di sposarci lo abbiamo coinvolto. Abbiamo già creato la nostra famiglia, abbiamo due bambini, una casa di proprietà e non abbiamo problemi economici. Non volevamo che i nostri invitati ci lasciassero buste o regali e nemmeche facessero un’offerta sterile per un’onlus. Volevamo fare qualcosa per gli altri, lasciare un segno”.

“Le reazioni sono state molto differenti tra loro - ha concluso Bontorin, che nella vita gestisce un’azienda nel Vicentino - ma sono usciti tutti trasfigurati, abbiamo smosso gli animi. Per noi è stato come regalare un momento di educazione civica, far conoscere una realtà di cui abbiamo coscienza solo attraverso i media che ne danno una visione distorta. Chi si trova dietro le sbarre non è un mostro, è una persona che ha commesso un reato o un delitto”. Tra gli invitati, c’era anche Simone Bontorin, amico dei coniugi e sindaco di Romano d’Ezzelino che ha sposato la coppia. “Un’esperienza molto significativa e profonda - ha spiegato -. Quando gli sposi ci hanno detto di trovarci a quell’indirizzo non pensavamo di fare un incontro del genere. Il mio primo pensiero è stato quello che saremmo andati a realizzare le bomboniere insieme nel laboratorio di pasticceria del carcere, ma non avrei mai pensato di trascorrere una giornata all’interno della casa circondariale”. Due dei detenuti incontrati sono poi riusciti ad essere presenti anche al matrimonio della coppia, dove per gli invitati c’è stata la possibilità di fare un’offerta libera per uno dei progetti del Due Palazzi selezionato da Chiara e Jacopo.