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di Andrea Priante

Corriere del Veneto, 8 settembre 2023

“I detenuti non sono la peggiore umanità. È l’umanità dolente, emarginata. L’umanità che alcuni politici vorrebbero nascondere, utilizzando le prigioni come discariche”. “La popolazione dei detenuti è complessa. Ci sono persone che hanno commesso reati gravi ma ci sono anche tanti uomini e donne che nella vita si sono ritrovati a commettere uno sbaglio”. “Le parole di Donazzan sono pericolose, tolgono speranza”.

Ornella Favero è il volto-simbolo del volontariato in carcere. Attiva nella Casa di reclusione di Padova, ma non solo, con un gruppo di reclusi nel 1997 fondò “Ristretti Orizzonti”, diventata una tra le più autorevoli riviste sui temi della detenzione. Autrice di libri, organizza convegni sulla legalità e dal 2015 è presidente della Conferenza nazionale volontariato giustizia, che rappresenta enti, associazioni e gruppi impegnati quotidianamente dentro e fuori de mura degli istituti di pena.

Favero, parlando con i rappresentanti sindacali della polizia penitenziaria, l’assessore al lavoro Elena Donazzan ha manifestato loro solidarietà sostenendo che “non esistono regole d’ingaggio chiare in assoluto, quando abbiamo a che fare con la peggiore umanità. Perché voi non avete a che fare con le signorine: qui dentro c’è la parte degenerata della società”“. Che ne pensa?

“Sono parole pericolose. Far credere all’opinione pubblica che in cella ci finiscano solo persone cattive, dei “degenerati”, significa far filtrare indirettamente il messaggio che questi uomini e donne possono essere trattati nel modo peggiore. Ma se puntiamo solo alla punizione dei detenuti, alla loro umiliazione, che tipo di persone avremo quando usciranno di galera? Saranno arrabbiate e frustrate nei confronti di una società che non sa credere e investire nella loro riabilitazione. La “peggiore umanità” è qualcosa di irrecuperabile. Ma la verità del carcere, per fortuna, è ben altra”.

In carcere ci va chi si è macchiato di reati, spesso gravi...

“La popolazione dei detenuti è complessa. Ci sono persone che hanno commesso reati gravi ma ci sono anche i disagiati, quelli con problemi economici o psichiatrici, e tanti uomini e donne che nella vita si sono “semplicemente” ritrovati a commettere uno sbaglio. In tanti anni di lavoro nelle carceri, ho capito una cosa: può capitare a chiunque di noi - alle famiglie borghesi come a quelle operaie, ai professionisti come ai senzatetto - di ritrovarsi con un amico o un parente in cella. Persone che abbiamo sempre amato e rispettato e che non vorremmo mai che venissero definite “la parte degenerata della società”.

Non crede che le aggressioni di cui sono stati vittima gli agenti penitenziari negli ultimi mesi dimostrino una situazione di criticità?

“Le aggressioni, così come i gesti di autolesionismo, spesso sono sintomo delle pessime condizioni in cui versano i nostri penitenziari. Centinaia di detenuti costretti in celle sovraffollate, che spesso non riescono a vedere i loro familiari e a malapena possono parlarci al telefono. E a mantenere calmi gli animi, ci sono agenti costretti a turni massacranti perché mancano gli organici, mentre scarseggiano anche operatori e psicologi. Se si continua a ghettizzare i reclusi, invece di offrire loro la speranza di un futuro migliore, la situazione non potrà che diventare esplosiva”.