di Roberto Greco
Quotidiano di Sicilia, 30 agosto 2024
Ogni anno più di cento persone muoiono dietro le sbarre. Intervista a Pino Apprendi, Garante comunale dei detenuti di Palermo: “Oltre ai suicidi, spesso citati, sono trascurate le morti per assenza di cure”. È in corso una strage silenziosa che si sta consumando quotidianamente nel nostro paese. Se ne parla troppo poco e il più delle volte non se ne conoscono i dettagli. È quella che riguarda le persone detenute nelle strutture penitenziarie italiane. Si calcola che in media, in Italia, ogni anno muoiono prematuramente più di cento persone dietro le sbarre. Interviene al QdS Pino Apprendi, garante comunale per i diritti delle persone detenute della città di Palermo.
Apprendi, qual è la situazione nelle tre strutture palermitane?
“Possiamo definire la situazione, per così dire, fluida e flessibile in negativo perché, in ogni visita, scopri qualcosa di nuovo. La prima deficienza riguarda la sanità perché ai detenuti non è garantita la salute. Stiamo parlando di problematiche di ogni genere, dal semplice mal di denti alla possibilità di curare una cataratta, un tumore o un infarto. Può considerarsi fortunato colui che ha un malore, quindi parliamo del cosiddetto primo soccorso, se in quel momento è presente nell’istituto il medico di turno, nel qual caso potrà avere un’assistenza di massima, in caso contrario il detenuto è costretto ad aspettare”.
Un esempio?
“Il 15 agosto scorso, mentre con il comitato “Esistono i diritti” facevamo un sit-in davanti all’Ucciardone. Un’ambulanza è entrata a sirena spenta nella struttura e ho deciso di entrare per capire cosa fosse successo. Ho atteso il medico di turno e ho notato che, a causa del sottodimensionamento dell’organico, del periodo feriale e dei necessari permessi individuali, il personale della polizia penitenziaria era molto limitato. Un detenuto è stato trovato “disconnesso” dal punto di vista cognitivo, ma la sua fortuna è stata quella della presenza in loco del medico di turno”.
In carcere si continua a morire…
“Oltre ai suicidi, che sono spesso citati, non sono mai citati quanti muoiono per ‘mala sanità’, ossia per mancanza di cura. Da gennaio a oggi sono morte in carcere quasi 1.400 persone. È pur vero che la gente muore anche fuori dal carcere ma, a questo punto, ci devono spiegare perché ognuno di loro è morto. Altro esempio, circa un mese fa, sempre all’Ucciardone è morto un detenuto di 73 anni. Il direttore sanitario mi ha informato che la persona aveva problemi di cuore, di diabete e di respirazione. La domanda, a questo punto, è se questa persona non fosse stata in carcere, sarebbe morta? Questo tipo di patologie è compatibile con la detenzione? Può avere l’assistenza e le cure necessarie per le sue patologie? Non voglio assolutamente puntare il dito sugli ultimi anelli della catena, quelli che nelle strutture ci lavorano, perché il sistema carcere non funziona. Non aiuta la carenza di personale che, anzi, crea disagio e impotenza operativa negli addetti stessi”.
Si è parlato, proprio in questo periodo, di carceri speciali per i detenuti che protestano…
“Non sono d’accordo. Una scelta come questa rappresenterebbe la resa dello Stato. Il caso di cui lei parla è quello riguardante quanto è successo al Pagliarelli dove tre detenuti, qualche giorno fa, sono saliti sul tetto. È necessario fare un’analisi puntuale sui motivi della protesta e cercare di capire quale sia il percorso che li ha portati a compiere questo gesto. Di fatto già il ministro Nordio ha creato un nucleo speciale per le rivolte ma deve essere chiaro, e lo deve essere per tutti, quelle che sono le differenze tra le proteste e le rivolte. Per troppo tempo si è nascosta la polvere sotto il tappeto, per troppo tempo tutti i governi che si sono succeduti in questi ultimi trent’anni non hanno fatto nulla per far sì che la pena potesse davvero diventare rieducativa e riabilitativa per consegnare alla società persone nuove, che vogliono rinnegare il loro passato. Seppur qualche carcere, in Italia, abbia in essere progetti di qualità, la maggioranza non ne ha. Non c’è una vera e costante attività di preparazione al lavoro, non c’è lavoro e quindi non c’è una vera funzione rieducativa e riabilitativa”.
Forse è proprio vero che siamo un popolo di forcaioli, spesso si entra nella logica del “buttare le chiavi”…
“Amaramente devo dire sì. Il caldo che sta dominando imperante, per esempio, lo si soffre sia fuori sia dentro il carcere. Ma se è vero che noi, a casa nostra, possiamo trovare ristoro, nelle strutture non è così. Allora, i soliti benpensanti ritengono che siano lussi, ad esempio l’aria condizionata o i semplici ventilatori all’interno delle camere di detenzione, ma non è così, perché i diritti umani devono valere per tutti, compresa la popolazione carceraria”.
Cosa ne pensa della recente riforma Nordio?
“Voglio vedere i risultati. Hanno detto che nei prossimi tre mesi dovrebbero uscire dalle carceri circa 3.000 persone. Vedremo, anche perché sarebbe possibile fare uscire circa 10.000 detenuti che hanno meno di due anni da scontare. Inoltre si continua a non pensare alle pene alternative perché i domiciliari, tranne per chi si è macchiato di maltrattamenti in famiglia e pericolosità sociale, possono essere una strada percorribile ma che continua a sembrare impervia”.
È emerso al (dis)onore della cronaca il caso della bambina di circa due anni che vive in carcere con la madre. In Sicilia ci sono situazioni analoghe?
“In Sicilia l’ultimo caso risale a circa 8 anni fa, nella struttura di Messina. Credo però che tutti i cittadini italiani dovrebbero ribellarsi a questo atto di inciviltà, al fatto che oggi ci sono 26 bambini in carcere, che sono costretti a vivere come reclusi. Bambini cui è negata la propria infanzia trasformandola in un incubo e condizionandoli per sempre”.
In chiusura?
“Se ne salviamo anche solo uno, abbiamo fatto un grande regalo alla società e instilliamo la speranza negli altri. Voglio però chiudere citando una frase del cappellano del Pagliarelli, fra Loris della chiesa della Gancia: serve un’umanizzazione della pena, che sembra ancora un obiettivo lontano”.