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di Claudia Brunetto

La Repubblica, 14 giugno 2023

La denuncia: “Per la sanità i tempi di attesa in carcere raddoppiano. Vale anche per i tumori”. A Pagliarelli ci sarà anche un reparto psichiatrico. Settantatré anni e quasi trenta a occuparsi della condizione dei detenuti. Come consigliere comunale, deputato regionale, fondatore e presidente dell’associazione Antigone Sicilia e, dallo scorso aprile, nel ruolo di garante per le persone detenute del Comune di Palermo, figura mai esistita prima. Pino Apprendi non usa giri di parole: “Il carcere è un inferno, un posto da cui non sai se uscirai vivo o morto e in ogni caso sei compromesso per tutta la vita. Quando senti la chiave della cella che si chiude alle tue spalle sai che in quel momento si è messa la parola fine ai diritti sanciti della nostra Costituzione”.

Apprendi, cosa c’è dietro lo sciopero della fame dei quattro detenuti del carcere di Augusta?

“C’è un disagio. La lontananza dalla famiglia, dagli affetti, c’è il non avere voce per avere riconosciuti i propri diritti. Ci sono richieste mai accolte. In carcere c’è soltanto il diritto alla “domandina”, un pezzetto di carta rivolto al direttore attraverso cui il detenuto chiede qualcosa: un vestito, un farmaco. Spesso restano lettera morta. È così dietro gli scioperi della fame, dietro i suicidi: l’anno scorso è stato il più nero degli ultimi venti anni: dieci suicidi in Sicilia su 84 in Italia”.

Come viene trattata in carcere la malattia psichiatrica?

“Fra i diritti negati in carcere c’è proprio quello alla salute. Se i cittadini fuori si lamentano del sistema della sanità che non funziona per i lunghi tempi di attesa, dentro il carcere il tempo si raddoppia: quattro mesi diventano otto. Non vengono curati come malati psichiatrici per mancanza di medici, di attrezzature, di diagnostica. Vale anche per altre malattie come il cancro, non vengono garantiti tempi adeguati nella cura. Da questo punto di vista il periodo del Covid in carcere è stato il più terribile. C’è gente che entra in buone condizioni psicofisiche e nel giro di poche settimane inizia ad avere disturbi gravi o al contrario altri arrivano in carcere con un disagio psichico accertato perché non ci sono posti nelle Residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza”.

Ha incontrato qualche esempio virtuoso in questi anni?

“La direttrice Rita Barbera dell’Ucciardone aveva creato il “vaso di Pandora”: una struttura dentro il carcere senza sbarre che riproduceva un appartamento, la televisione, la cucina, il salotto, un ambiente familiare insomma. Dentro vivevano otto detenuti con disagio mentale e altrettanti tutor detenuti anche loro. Svolgevano una vita “normale”, incontrando assistenti sociali, psicologi, psichiatri. Gli stessi agenti della polizia penitenziaria scelsero di stare lì in borghese e non in divisa. Sono andato diverse volte a trovarli e ho capito in quell’occasione che se metti i detenuti con dei disagi in un ambiente familiare probabilmente li recuperi. E anche se ne recuperi uno solo hai fatto un favore alla società. Purtroppo il “vaso di Pandora” non c’è più. La buona notizia, però, è che presto aprirà un reparto di psichiatria al Pagliarelli dove i detenuti saranno seguiti in modo diverso”.

Perché il sistema delle carceri non funziona?

“È il sistema giudiziario in generale che non funziona. Basta dire che per avere una sentenza, qualunque essa sia, passano anni e anni e a volte arriva dopo avere affrontato diciotto mesi di carcere preventivo. Il carcere non è rieducativo, ti fa affrontare una pena in maniera punitiva al massimo delle possibilità. È una lotta impari che fa il detenuto con se stesso per la sopravvivenza: un giorno in più in carcere è un giorno in più per la sopravvivenza. Per non parlare del minorile”.

In che senso?

“Lo chiuderei. Non è assolutamente rieducativo, se metti un ragazzino di 14 anni in carcere non gli insegni nulla che possa affrancarlo dai reati che ha commesso. Se lo metti in carcere lo perdi completamente. Ma penso anche alla condizione delle donne che rappresentano una minoranza, al Pagliarelli sono 80 e possono fare poche attività visto che anche per formare una classe di scuola media serve un certo numero di persone. Penso ai migranti, gli ultimi degli ultimi, che non hanno proprio nessuno che si occupi di loro: cibo, vestiti, scarpe. Ho buoni motivi per credere che oltre il 70 per cento dei detenuti faccia uso di psicofarmaci, loro, i più deboli”.

Quali sono i suoi compiti come garante nei prossimi tre anni?

“Posso fare visita alle persone in carcere, nelle camere di sicurezza delle forze dell’ordine, nelle Rsa, ma posso avere anche colloqui privati con i detenuti, cosa che come presidente di Antigone non potevo fare. Posso accedere ai verbali disciplinari”.

Prossimi traguardi?

“Voglio continuare a parlare con chi sta in carcere, voglio conoscere la verità su quello che accade dentro le carceri e voglio fare soprattutto una battaglia per quanto riguarda il diritto alla salute: i detenuti devono essere curati nel quotidiano, non dietro una “domandina”. Poi ho un piccolo sogno: una trattoria sociale con dipendenti detenuti e disabili, Ci sto lavorando”.