di Irene Carmina
La Repubblica, 3 aprile 2024
Passa il tempo a fissare il soffitto, inchiodato al letto nella sua cella all’Ucciardone di Palermo. Immobile, a stento muove un braccio: è tetraplegico. Si lava come può, usando una bacinella. Un altro detenuto, che tutti in carcere chiamano “piantone”, gli dà una mano. Lo solleva di peso per portarlo in bagno, dove non ci sono neanche le maniglie per aggrapparsi. Tre, quattro volte al giorno. Il resto del tempo, nessuno lo vede. Sotto le lenzuola, gli sembra di scomparire, disteso con gli occhi spalancati a ripassare le macchie sul muro. Di notte, Francesco si arrangia con una bottiglia. Viene pulito la mattina seguente, “a pezzi”. Anche una doccia è impensabile nelle sue condizioni. Da quando è detenuto in carcere, combatte anche con la depressione.
La cella di 12 metri quadrati, che condivide con altri due detenuti, non è idonea per i disabili. Una adatta a lui ci sarebbe all’Ucciardone. Ma è già occupata da altri due disabili. Vive appeso a una speranza: i domiciliari, nella sua casa in Calabria. Domani conoscerà il suo destino in udienza. Se rimarrà in carcere, farà lo sciopero della fame. Ormai, si è abituato anche a questo: ha già rinunciato al cibo in passato. Sembrava uno scheletro, con quei 47 chili a quasi cinquant’anni. Non è il solo detenuto disabile all’Ucciardone. Ce ne sono altri quattro.
A due è toccata una cella per disabili, l’unica in tutto il carcere. Con le maniglie in bagno, lo spazio per la sedia rotelle. Con la dignità che non viene calpestata. Per tutti gli altri non è così. Devono adeguarsi. Deve farlo Francesco, il detenuto tetraplegico calabrese. Devono farlo anche Claudio, di Sciacca, costretto a starsene su una sedia a rotelle a causa di una flebite e Maurizio, di Monreale, affetto da una necrosi al ginocchio e da sei mesi in attesa di una risonanza magnetica.
Francesco, Claudio e Maurizio sono nomi di fantasia. Le loro storie, però, come le loro sofferenze, sono vere. “Un carcere per cinquecento persone non può avere una sola cella per disabili - accusa Pino Apprendi, garante dei detenuti di Palermo - La situazione dei disabili è drammatica: sulla carta dovrebbero godere del diritto alla salute come ogni cittadino, in realtà per loro il carcere si tramuta in un inferno perché non hanno celle adatte alle loro esigenze, malgrado le segnalazioni del servizio sanitario e della direzione del carcere. In queste condizioni non dovrebbero stare lì”. Il carcere, ben inteso, deve rieducare. Non può essere solo una punizione. “Così però, specie per chi non è in grado di muoversi autonomamente, diventa un inferno: anche chi entra perfettamente sano di mente, dopo qualche settimana può andare fuori di testa”, racconta Apprendi che meno di un mese fa ha visto con i suoi occhi il degrado in cui sono costretti a vivere i disabili dell’Ucciardone.
Al Pagliarelli non va meglio. E non perché i disabili non vengano assistiti a dovere. Nel carcere di massima sicurezza di piazza Cerulli disabili proprio non ce n’è. Perché non è una struttura fatta per loro. Nessuna cella idonea, “nonostante il Pagliarelli nasca proprio come struttura all’avanguardia che abbatte le barriere architettoniche: è un paradosso”, sospira allargando le braccia il garante dei detenuti. E così ogni volta che arriva un disabile al Pagliarelli, viene spedito in un altro istituto penitenziario. Di più. Gli ascensori sono guasti, “da almeno dieci anni”, precisa Apprendi. E bisogna farsi fino a quattro piani a piedi per godere dell’ora d’aria o incontrare i familiari durante le visite settimanali. Che se si è in buona salute è uno sforzo, per quanto faticoso, che si può fare ogni giorno. “Ma gli anziani e i malati? Ci sono detenuti di settant’anni, anche di ottanta. L’infermeria si trova al primo piano rialzato. Praticamente, un secondo piano. “Non ce la facciamo più a salire e scendere le scale”, hanno confidato due infermiere volontarie ultraottantenni qualche giorno fa ad Apprendi. Che attacca: “Il carcere, si sa, non è un albergo, ma situazioni del genere non dovrebbero esistere perché non sono in alcun modo dignitose”. E riflette sul diritto alla salute dei detenuti: “Non è garantito. Si aspettano mesi interi anche per una semplice visita odontoiatrica o oculistica. Per non parlare delle prenotazioni per interventi, che possono saltare perché una volta manca il personale di scorta, impegnato in altre mansioni, una volta non arriva l’ambulanza”. E finisce così che i detenuti, specie se disabili, sono sempre più gli ultimi. Dimenticati dalle istituzioni, emarginati dalla società. Rinchiusi in carceri in cui diventa proibitivo persino farsi una doccia.