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di Serena Termini

ilmediterraneo24.it, 10 novembre 2023

Due persone detenute nel carcere dell’Ucciardone si raccontano e raccontano come vivono all’interno della struttura: “Facciamo un corso come peer supporter per conoscerci ed evitare che i detenuti più fragili possano fare stupidaggini”. È nata il 5 marzo del’73 e ha tre figli. Dal 2005 è stata la corrispondente dell’agenzia di stampa nazionale Redattore Sociale con cui oggi collabora. Da sempre, ha avuto la passione per la lettura e la scrittura. Ha compiuto studi giuridici e sociologici che hanno affinato la sua competenza sociale, facendole scegliere di diventare una giornalista. Ciò che preferisce della sua professione è la possibilità di ascoltare la gente andando al di là delle prime apparenze: “fare giornalismo può diventare un esercizio di libertà solo se ti permettono di farlo”.

Prendono in mano per la prima volta un libro, alcuni imparano a studiare mentre altri apprendono un mestiere attraverso i diversi corsi professionali. L’ammissione alle attività trattamentali è sempre il risultato di una decisione corale di più figure professionali. Se si ha buona volontà e voglia di conoscere, le opportunità offerte, durante il periodo di reclusione, sono molte. A dirlo sono due persone detenute che incontriamo nella biblioteca del polo didattico della quinta sezione intitolato a Pio La Torre del carcere dell’Ucciardone. Si tratta della sezione dedicata alle attività comuni: la scuola, la sala lettura, la biblioteca e le stanze con le attrezzature di formazione professionale. Il primo a prendere la parola è Michele Cavataio di 46 anni, sposato con tre figli. La sua uscita è prevista nel novembre del 2029. Ci accoglie con degli occhi molto vivaci e un fisico molto muscoloso.

“Sono in questo carcere da un anno e un mese - racconta Michele Cavataio -. All’inizio, appena entrato, non avendo un’attività lavorativa specifica, mi sono dedicato allo spazio attrezzato adibito a palestra. Ho la licenza media e un attestato come elettricista che ho preso fuori. Mi piace leggere e per questo mi sono impegnato pure nello studio personale. Sono stato inserito prima come lavorante porta vitto e dopo, dallo scorso agosto, sono addetto alla manutenzione ordinaria come elettricista. Inoltre, sto facendo pure il primo anno della scuola alberghiera e ho fatto anche orientamento in una ditta di impresa di pulizia industriale”.

In questo tempo di reclusione il pensiero spesso va all’esterno del carcere. “Prima avevo un lavoro - racconta -. Il mio è stato solo un incidente di percorso, dove, purtroppo, trovandomi in una situazione particolare, ho fatto degli errori che adesso sto pagando. Naturalmente, mi sono assunto le mie responsabilità e, una volta libero, voglio ritornare a lavorare nel campo edile, elettrico o dei trasporti. In attesa di questo momento, vado avanti cercando di migliorami sempre e, soprattutto, guardando il lato positivo di tutto quello che sto facendo in carcere. Nello stesso tempo, cerco pure di aiutare gli altri. Li aiuto con gli allenamenti fisici ma anche a scrivere una lettera o una domandina. Se ci si comporta bene, si riescono a fare diversi percorsi che nella vita ci serviranno. Nella mia vita ho sempre avuto rispetto e amore per il prossimo. In carcere, sto imparando a sapere aspettare; è quell’esercizio della pazienza che ti porta ad essere meno istintivo e ad avere un maggiore autocontrollo nelle diverse situazioni che ti capitano. Ognuno deve fare il suo percorso nella vita senza guardare quello degli altri. La vera libertà è però quella di fuori. In tutto questo tempo, lontano dagli affetti più cari, ho perso tante cose belle come il diploma di mia figlia e altro ancora. La libertà non ha prezzo. Il nostro percorso deve essere solo verso la libertà per cercare di non sbagliare più. Bisogna perseverare nel fare il bene e andare sempre avanti”.

Ad accoglierci con un grande sorriso è pure Francesco Spartaro, 51 anni sposato con due figli. Ha scontato già tre anni e ha un fine pena nel 2026. “Qua dentro, il mio primo problema è stato quello di ambientarmi, durante i diversi passaggi da una sezione all’altra - racconta -. Prima avevo iniziato a lavorare come porta vitto e poi ho fatto pure il corso per la sicurezza alimentare Haccp. Ho partecipato, pure, a un corso di sartoria e, adesso, aiuto gli altri a fare piccole cuciture come rammendare un bottone o altro. Penso che una volta libero tutto questo mi potrà servire. Mi piacerebbe aiutare altri detenuti e per questo sto facendo il corso di Peer Supporter. Come Peer Supporter cerchiamo di aiutare gli altri detenuti a conoscere come ci si deve comportare e relazionare con i detenuti dentro la cella e con gli assistenti ed educatori che ci seguono. L’obiettivo è pure quello di evitare che i detenuti più fragili possano fare delle stupidaggini che, purtroppo, succedono”.

“Nella vita c’è sempre tanto da conoscere e qua, se si vuole, si possono fare tante attività - continua -. Sono finito in carcere purtroppo per avere detto troppi sì. In carcere ho conosciuto davvero un mondo nuovo tra educatori, e detenuti. Ho imparato tante cose, nonostante l’ambiente sia, a volte, molto pesante. Si apprende, a poco a poco, a socializzare con gli altri perché la convivenza in cella, tra persone con storie e vissuti diversi, non è sempre facile. A tutti quelli che sono fuori oggi dico di aprirsi bene gli occhi perché andare in carcere non vale assolutamente la pena. Ricordiamoci che la libertà è un valore troppo importante che ti permette di essere pienamente te stesso”. E, al temine della nostra conversazione, mentre ci allontaniamo, Francesco ci richiama per un saluto ancora: “Arrivederci, mi saluti la libertà!”.