di Paolo Di Stefano
Corriere della Sera, 30 luglio 2018
Il sociologo aveva fondato la comunità "Borgo di Dio" per promuovere manifestazioni e digiuni per combattere le resistenze della tradizione feudale. Si può purtroppo commentare come uno dei tanti casi di razzismo, ma l'episodio di Partinico ha un retrogusto particolare. Perché Partinico è il paese tra Palermo e Trapani in cui dal 1954 si impegnò il sociologo, scrittore, poeta, attivista della non violenza Danilo Dolci, che a Trappeto aveva fondato una comunità chiamata "Borgo di Dio" pronta a promuovere manifestazioni e digiuni per combattere sul campo le resistenze della tradizione feudale e del potere.
Oltre all'animazione sociale e al lavoro sul fronte educativo in una zona culturalmente depressa, sarebbero state le denunce contro la pesca di frodo attuata dal banditismo a rendere sempre più sgradito il "sovversivo" Dolci alle istituzioni: specie quando la popolazione si mobilitò per uno "sciopero alla rovescia" con centinaia di disoccupati impegnati a riattivare le strade comunali abbandonate. Da quell'esperienza, nel novembre 1955, sarebbe uscito per Laterza un libro eccezionale, "Banditi a Partinico" (riproposto nel 2009 da Sellerio), che fece conoscere anche fuori dai confini italiani le pietose (e illegali) condizioni di vita in certe zone della Sicilia.
Le prime trenta pagine sono un referto sociologico sulla comunità (le scuole, le parrocchie, il lavoro dei braccianti, lo stato della sanità, il "luridume", la vigilanza) con la proposta di soluzioni pratiche quali, per esempio, la costruzione di una diga sul fiume Jato per avere un'"acqua democratica". Segue un corpo centrale in cui i racconti "bruti" in prima persona dei poveri di Partinico si alternano con le considerazioni crude dell'autore: i "banditi" non sono solo i fuorilegge dei "motopescherecci" ma sono anche i "vinti" messi al bando dallo Stato.
Nella prefazione, Norberto Bobbio illustrava la "rivoluzione dal di dentro" di Dolci, rendendo omaggio al combattente che denunciava la fame, la follia e la protervia in un angolo d'Italia non ancora sfiorato dal boom economico. In prima edizione, il volume avrebbe dovuto contenere le fotografie di Enzo Sellerio, che per un problema tecnico-editoriale furono eliminate. L'uscita del libro-inchiesta colpì intellettuali stranieri, come Sartre, l'Abbé Pierre e Bertrand Russel, ma la lotta di Dolci culminò nell'arresto e nel rinvio a giudizio degli altri organizzatori.
Il recente episodio di razzismo non può che rimandare a quella battaglia non violenta di Dolci e della sua comunità intesa a debellare il sopruso e la povertà. Sessant'anni dopo scopriamo che gli stessi strumenti evocati allora, istruzione e autocoscienza civile, sarebbero indispensabili oggi per garantire convivenza e armonia sociale. Non meraviglia che oggi sono gli immigrati africani a subire la violenza degli eredi diretti di quei disgraziati che Dolci voleva "salvare" dall'emarginazione. Colpisce eccome, invece, che il giovane cameriere senegalese aggredito abbia usato parole che sembrano suggerite da Danilo Dolci: "Non ho reagito perché non alzo le mani, mi potevo difendere ma gli educatori della comunità mi hanno insegnato che non si alzano le mani".