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di Irene Carmina

La Repubblica, 18 novembre 2023

Giovanni è affetto da una grave neuropatologia. Il Garante dei detenuti: “La sua carcerazione è già stata dichiarata dal direttore sanitario incompatibile con le sue condizioni di salute”. Ha già tentato di togliersi la vita quattro volte e il suicidio assistito gli sembra, ora, l’unica possibilità. Per non rimanere inchiodato al letto della cella dell’Ucciardone dove è stato trasferito dal carcere di Rebibbia ad agosto. Quando non è a letto, se ne sta sulla sedia a rotelle: una grave neuropatologia ai nervi delle vertebre gli impedisce di camminare. Ha un occhio bendato, a stento ci vede. Non va mai in cortile a guardare il cielo, lo fa stare male, gli attacchi di claustrofobia lo assalgono ogni volta. Preferisce stare sdraiato e chiudere gli occhi, forse per sognare una vita diversa. Da quando è stato trasferito nel carcere di Palermo, non si è mai fatto la doccia. Si lava come può usando una bacinella, gli altri detenuti gli danno una mano. Nel bagno adiacente alla sua cella non ci sono le maniglie a cui aggrapparsi. Non c’entra neppure la carrozzina. Neanche la cella di 12 metri quadrati, che condivide con altri due detenuti, è idonea per i disabili. Una adatta a lui ci sarebbe all’Ucciardone. Ma è già occupata da altri due disabili in sedia a rotelle.

Giovanni (il nome è di fantasia) ha 54 anni, è nato a Siracusa e deve ancora scontare dieci anni di pena in carcere, dopo i due a Rebibbia. Ed è stanco di vivere così. “Non ce la faccio più. Se dovesse essere approvata una legge sull’eutanasia legale, ti prego di farmi sapere perché non posso resistere tutti quegli anni in queste condizioni”. Quando Pino Apprendi, garante dei detenuti di Palermo, qualche giorno fa ha sentito queste parole, è rimasto di sasso. Sgomento. “Stiamo lottando per affermare il diritto di essere liberi fino alla fine”, è stata la sua risposta. Due anni fa Apprendi è stato uno dei volontari che hanno raccolto le firme per il referendum sull’eutanasia legale e il suo impegno a fianco dell’associazione Luca Coscioni, stavolta per una legge regionale d’iniziativa popolare, l’ha rinnovato ieri mattina davanti a Marco Cappato. Eppure, Apprendi vuole tentare il tutto per tutto per salvare Giovanni, perché sa che è a rischio. A rischio di sprofondare, di desistere, di farla finita.

In Italia, l’anno scorso ci sono stati 15 suicidi ogni 10mila detenuti, una morte su 4 in carcere è un suicidio e dal 2000 al 2020 di suicidi in carcere se ne sono contati 1.400, 70 in media all’anno, a cui vanno aggiunte 4mila morti dietro le sbarre senza una spiegazione precisa. “Giovanni è chiaramente un soggetto ad alto rischio e va aiutato perché sta vivendo un carcere nel carcere. Un inferno. Anche chi entra perfettamente sano di mente, dopo qualche settimana, può andare fuori di testa - racconta il garante dei detenuti - Chi, come Giovanni, è affetto da una grave patologia neurodegenerativa non dovrebbe stare qui: esistono i domiciliari e luoghi più adeguati come le residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza e le case-famiglia. D’altronde, la sua carcerazione è già stata dichiarata dal direttore sanitario incompatibile con le sue condizioni di salute”. Incompatibile. Ma tant’è.

La malattia di Giovanni potrebbe avere un nome preciso, la Sla: sono in corso accertamenti medici. “Se questa fosse la diagnosi, tenerlo in carcere sarebbe una follia”, dice Apprendi. E punta il dito contro il servizio sanitario offerto nelle carceri: “Non è assolutamente dignitoso. Se per noi i tempi della sanità sono lunghi, per un detenuto sono infiniti. Sei mesi diventano 12 e tutto in carcere diventa complicato, anche un semplice mal di denti”. All’Ucciardone c’è un’infermeria con un direttore sanitario, un medico 24 ore su 24, le visite specialistiche avvengono periodicamente.

Il 54enne di Siracusa non è l’unico detenuto in sedie a rotelle all’Ucciardone. Due sono nella cella per disabili. Altri cinque, come Giovanni, sono stati sistemati in celle diverse, non adatte alle loro esigenze. “Un carcere per cinquecento persone non può avere una sola cella per disabili”, accusa Apprendi. Intanto Giovanni se ne sta fermo a letto, aspetta un pacco da Rebibbia con dei presidi medici e, una volta a settimana, la visita della compagna. “Nel frattempo potrebbe essere trasferito a Siracusa così da avere un conforto familiare - osserva il garante - Per fortuna, i compagni di cella lo aiutano, se lo caricano in braccio e lo mettono in piedi. Ma se Giovanni non vuole neanche più andare in cortile a vedere il cielo, che è il momento della giornata più atteso da tutti i detenuti, c’è poco che possano fare i suoi compagni di cella. È gravemente malato, va aiutato da chi ne ha le competenze”.