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di Alfredo Roma

Il Domani, 12 agosto 2024

L’ex membro del Csm: “Ho paura che quest’anno l’Italia stabilisca il record per i suicidi in carcere. Penso che serva un provvedimento urgente. Il progetto del governo mira a riportare indietro la magistratura: sarà una corporazione senza più una legittima diversità”. Il 10 luglio 2024 la Camera ha approvato in via definitiva il cosiddetto ddl Nordio, il disegno di legge proposto dal ministro della Giustizia Carlo Nordio che prevede diverse modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento giudiziario. Inoltre, a completamento della riforma della giustizia, nella seduta del 29 maggio scorso, il governo ha annunciato il varo di un disegno di legge costituzionale, contenente norme in materia di ordinamento giurisdizionale e di istituzione della Corte disciplinare, in cui, tra le novità più salienti, vi è l’introduzione della separazione delle carriere tra magistratura requirente e magistratura giudicante.

A questo si è aggiunto ora un altro problema. Dopo l’approvazione nei giorni scorsi del decreto carceri, che rafforza la sicurezza degli istituti penitenziari, ma non interviene sulla sofferenza dei detenuti dovuta al sovraffollamento, il ministro Nordio ha avuto su questo tema un incontro con la presidente Meloni esprimendo l’intenzione di volerne parlare al capo dello stato. Su questa complessa situazione di norme abbiamo chiesto un parere a Giovanni Palombarini magistrato e saggista italiano. Da giudice istruttore si è occupato di processi sull’eversione politica degli anni settanta come il famoso processo 7 aprile. Negli anni ottanta è stato ai vertici di Magistratura Democratica e successivamente componente del Consiglio superiore della magistratura e procuratore generale aggiunto della Corte di Cassazione.

Dottor Palombarini, partiamo dall’attualità di questo decreto carceri e dalle mosse del ministro Nordio. A suo parere quali misure si potrebbero adottare?

Intanto ritengo giusto che il ministro Nordio ne parli col presidente Mattarella. Nello stesso tempo penso che questo governo non riuscirà ad adottare misure davvero efficaci. Ho paura che quest’anno l’Italia farà un record per i suicidi in carcere, arrivati fino a oggi a 73. Si fanno tanti discorsi, che non arrivano mai a qualche conclusione ragionevole. Che fare? Penso che si dovrebbe partire da un provvedimento urgente di amnistia e indulto. I governi della Prima repubblica non avevano dubbi: quando la situazione diventava intollerabile, anche per la difficoltà di predisporre istituti di detenzione idonei ad accogliere il numero crescente di prigionieri, facevano ricorso a un provvedimento di clemenza che almeno per qualche tempo riportava il rapporto detenuti/posti disponibili a una misura accettabile. In dottrina alcuni coraggiosi continuano a parlare di diritto penale minimo, ma non sono molto ascoltati. Cosa vuole, dopo tante belle parole il primo atto significativo dell’attuale governo è stato l’introduzione di un nuovo reato, di cui non si sentiva il bisogno, quello del rave-party, punito fino a sei anni di reclusione, con annessa possibilità di sequestrare veicoli e strumenti musicali e di ricorrere per le indagini a intercettazioni telefoniche. Già, le tanto criticate intercettazioni. Sono stati però aboliti il reato di abuso d’ufficio e il traffico di influenze, un reato, questo, introdotto nel 2012. Intanto, senza grandi problemi si potrebbe ridurre lo spazio della custodia cautelare, con riduzione del carcere e ampliamento degli arresti domiciliari. Ma su questo solo Forza Italia pare favorevole. La Lega e FdI no.

Considerando la sua lunga esperienza come magistrato e come studioso del diritto, cosa ne pensa di alcune modifiche stabilite da tale decreto, ma soprattutto sulla futura possibile revisione della Costituzione che prevede la separazione delle carriere tra magistratura inquirente e magistratura giudicante?

È necessario guardare bene quali sono gli obiettivi di tale riforma. Se separazione delle carriere volesse dire che a fronte della situazione esistente si intende introdurre una regola per la quale i vincitori dell’unico concorso d’ingresso in magistratura, alla fine dell’iniziale tirocinio dovessero scegliere in via definitiva se operare nella giudicante o nella requirente per il resto della loro attività professionale, ci sarebbe da discutere: ma la soluzione sarebbe accettabile. La costituzione non verrebbe toccata, cosa che mi parrebbe importante. L’attuale unico Csm rimarrebbe fermo, quanto a composizione, modi di formazione e competenze; il suo ruolo di governo e di garanzia continuerebbe a riguardare giudici e pubblici ministeri. D’altro lato è quanto in sostanza già succede: se si vanno a vedere le statistiche si scopre che, ogni anno, non sono più di 15/20 i magistrati che si spostano da un settore professionale all’altro. Dunque, al di là dei titoli cosa vuol dire, per chi oggi governa, separazione delle carriere? È comunque l’intero progetto governativo di riforma della Costituzione che non mi pare accettabile. Attraverso un insieme coordinato di misure si mira a riportare indietro la magistratura, a farne una corporazione nella quale non sono legittime diverse interpretazioni dell’attività professionale. Ci si muove secondo criteri e obiettivi del tutto diversi dalla crescita della giurisdizione. In ossequio alla separazione delle carriere si vogliono due distinti concorsi, e poi due Csm, con composizione “togata” attenuata, uno per i giudici, uno per i pubblici ministeri, entrambi presieduti dal presidente della repubblica, con esclusione di ogni possibilità di passaggio da una funzione all’altra. Se poi nel CSM dei pubblici ministeri si arrivasse a stabilire una composizione maggioritaria della politica rispetto a quella dei magistrati, sarebbero certamente possibili le interferenze dell’esecutivo. C’è un altro punto che merita una particolare attenzione, quello del sorteggio per la provvista dei membri togati dei due Csm e dell’alta corte disciplinare. Si può facilmente comprendere che con questa mossa si mira a cancellare il percorso ideale e culturale compiuto dalla magistratura negli ultimi decenni. Un appartenente al corpo giudiziario, indifferente alle diverse interpretazioni dei ruoli professionali, scelto a caso (uno vale l’altro), dovrebbe rappresentare una corporazione indifferenziata di funzionari interessati soltanto alla propria carriera. Che poi la carriera dei pubblici ministeri separati, e le loro scelte, possano finire in un simile disegno per essere condizionate dall’esecutivo mi sembra una conseguenza evidente.

A suo parere è accettabile la limitazione del potere d’appello del pubblico ministero nel caso di proscioglimento in primo grado per ridurre il lavoro delle corti e per non gravare economicamente sul soggetto assolto?

Per parte mia, ho sempre criticato a suo tempo le leggi ad personam, approvate cioè per l’interesse personale di Silvio Berlusconi e dei suoi governanti, tranne una, quella che escludeva la possibilità del pubblico ministero di interporre appello contro le sentenze di assoluzione. Questo non per ridurre i carichi di lavoro delle corti, o per non aggravare le spese processuali dell’imputato, ma per una ragione di carattere sostanziale. Pensavo, e penso, che se un imputato viene portato davanti al giudice competente a decidere, per materia e per territorio, del suo reato, e la vicenda processuale, correttamente gestita, si chiuda con una sentenza di assoluzione, non possa esserci spazio, nel merito, per giudizi diversi o per ripensamenti. A questo punto l’imputato non è più solo presunto innocente ma è da considerare innocente. Si badi. C’è ancora un possibile intervento della Corte di cassazione, nei casi previsti dall’articolo 524 del codice di procedura: solo qui, cioè nel caso si siano violate nel processo le leggi, può essere rimessa in discussione l’innocenza dell’assolto. Un’ultima considerazione: ripensare il diritto penale è un’opera di grande respiro e di grande capacità riformista. Non vedo attualmente il soggetto politico capace di farsene interprete.