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di Giulia Merlo

Il Domani, 31 agosto 2023

Parla la consigliera Csm di Magistratura indipendente. Il gruppo ha chiesto al Csm di creare un comitato che diffonda le buone prassi tra procure. Ma servono più toghe in organico e una specializzazione su reati difficili da prevenire ma anche da dimostrare

Le cronache degli stupri di gruppo a Napoli e Palermo raccontano di un aumento dei reati legati alla violenza di genere. Difficili da prevenire ma anche da indagare, “richiedono una grande attenzione, con potenziamento di risorse e di organici degli uffici giudiziari, accurata formazione specifica dei magistrati e, più in generale, adozione di tutti gli strumenti idonei a dare una risposta di giustizia efficiente. Per questo abbiamo chiesto al Csm di aprire una pratica” spiega Paola D’Ovidio, che è stata sostituto procuratore presso la procura generale di Cassazione e oggi siede al Csm con il gruppo moderato di Magistratura indipendente.

Esiste in magistratura la percezione di un aggravamento della situazione in tema di violenza di genere?

Sì, il Csm se ne sta occupando e non da oggi. Esiste un monitoraggio del 2018 che ha permesso di raccogliere le buone prassi in materia, dall’organizzazione degli uffici ai rapporti con la polizia giudiziaria, fino ai criteri di priorità da utilizzare. La cronaca, però, ci racconta di un aumento dei casi, quindi è necessario andare oltre nel sostegno ai magistrati, sia inquirenti che giudicanti, impegnati in questo delicato settore.

Gli uffici giudiziari sono attrezzati per perseguire in modo strutturato questo tipo di reati?

Si tratta di reati odiosi e di particolare complessità, che vanno valutati sia come fattispecie a se stanti che per le implicazioni sociali che comportano, dal punto di vista dell’allarme sociale e del danno ai contesti familiari. Per questo serve più supporto agli uffici a vari livelli: servono più risorse e mezzi, maggiore formazione e un confronto con il legislatore.

Partiamo da quello che manca...

I reati di violenza di genere richiedono una particolare specializzazione per il magistrato che se ne occupa, sia inquirente che giudicante. Si tratta di competenze che si trovano più facilmente nei grandi uffici, molti dei quali sono già organizzati con colleghi che hanno sviluppato competenze specifiche nel settore. Più difficile, invece, è reperire la stessa competenza in quelli più piccoli, dove la specializzazione per forza di cose è meno possibile. Per questo il primo passo è quello di aumentare risorse umane, colmando le attuali carenze di organico.

Da pubblico ministero, come si affronta un’indagine su questo tipo di reati?

La difficoltà maggiore è quella di individuare i segnali premonitori della violenza, se ce ne sono. In questo senso la normativa del Codice rosso è stata efficace ma non sempre è sufficiente. Concretamente, il pm deve entrare in complesse dinamiche endofamiliari, che possono mettere in discussione i normali criteri di indagine.

In che senso?

Le faccio un esempio. In casi di violenza di genere, spesso la vittima è anche l’unico testimone del reato e ne va valutata l’attendibilità. Visto il tipo di contesto, però, i normali criteri di valutazione della prova vanno applicati alla luce di dinamiche familiari delicate. Per farlo serve un supporto conoscitivo che richiede di andare oltre le generali regole giuridiche. Questo a tutela non solo della vittima ma anche dell’indagato, perché si tratta di accuse infamanti e vanno verificate nel modo più accurato possibile.

La copertura mediatica che spesso questi casi attirano rischia di condizionare le indagini?

A titolo personale posso dirle che non mi sono mai sentita influenzata dai media. Certamente, però, una grande attenzione mediatica può influire in modo improprio non tanto sul giudice o sul pm, quanto sulle parti. Per esempio un indagato può assumere atteggiamenti fuorvianti, oppure la vittima può decidere di non parlare più per paura.

Come si forma un magistrato che si occupa di questi temi?

La Scuola superiore della magistratura sta lavorando molto, ma non sempre tutti i richiedenti riescono ad accedere ai corsi specifici e sarebbe auspicabile un confronto con il csm per valutare un loro potenziamento. Sul fronte dell’esperienza sul campo, si dovrà lavorare per favorire la mobilità dei magistrati specializzati. Le competenze necessarie però vanno oltre il diritto e toccano le scienze psicosociali, presupponendo il supporto formativo di medici e psichiatri. Lo stesso vale anche per la polizia giudiziaria che è di ausilio nelle indagini e deve essere a sua volta formata per interagire correttamente sia con le vittime che con gli indagati.

Che prospettive di intervento ci sono?

L’apertura di una pratica al Csm proposta dai consiglieri di MI serve proprio a questo, attraverso un serio monitoraggio. La nostra ipotesi è quella di creare un comitato che monitori le buone prassi già in atto, che consulti specialisti e metta in circolo informazioni utili agli uffici, sia giudicanti che requirenti. Inoltre, sarà utile un confronto con il legislatore per ragionare anche di eventuali modifiche procedurali per rendere più efficace non solo la condanna, ma anche la prevenzione di questi reati.

Quali sarebbero gli interventi ipotizzabili nell’immediato?

Il primo passo è certamente il potenziamento dell’organico specializzato. Per le procure più piccole, che sono quelle on maggiore difficoltà perché gli organici sono spesso sottodimensionati rispetto alle esigenze, a titolo esemplificativo, si potrebbe ragionare sulla creazione della figura di un magistrato distrettuale che assicuri anche in tali uffici una continuità di lavoro e di presenza. Sarà il confronto ed il dialogo collegiale del Csm ad individuare nel dettaglio gli strumenti più adeguati. L’obiettivo del Csm è quello di sostenere i colleghi, che svolgono un compito molto gravoso e di grande responsabilità.

Come procede l’interlocuzione con il ministero della Giustizia, in questa fase in cui i rapporti tra la politica e toghe sono piuttosto tesi?

Il ministero sta facendo il massimo per incrementare l’organico togato, basti considerare che ora sono in fase di correzione due concorsi per nuovi magistrati ed un terzo, già bandito, sarà espletato in tempi brevi. Il periodo del Covid ha bloccato i concorsi per quasi due anni, ma su questo tema l’interlocuzione è positiva.

Cos’altro servirebbe?

Questi reati chiamano tutti gli operatori di giustizia ad una responsabilità sociale se possibile ancora maggiore. Per questo servono protocolli con l’avvocatura, il sostegno degli ospedali e il supporto della polizia giudiziaria, perché la risposta di giustizia ai cittadini sia la più rapida, efficace e corretta possibile.