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parmatoday.it, 15 gennaio 2024

Si tratta per lo più di personaggi di peso all’interno di Cosa nostra, alcuni dei quali decisamente vecchi sepolti al “carcere duro” ormai da decenni. Sono 10 i detenuti al 41 bis nella casa circondariale di via Burla, a Parma. Su un totale di 728 registrati in tutta Italia a ottobre scorso (poco più dell’1,3 per cento degli oltre 56 mila reclusi in Italia), ai quali si è aggiunto a gennaio il boss Matteo Messina Denaro, catturato dopo 30 anni di latitanza. Si tratta per lo più di personaggi di peso all’interno di Cosa nostra, alcuni dei quali decisamente vecchi sepolti al “carcere duro” ormai da decenni. Tanti i boss che si trovano poi nello stesso penitenziario, anche se i contatti tra loro sono impossibili.

A Parma si trovano Antonino Cinà, Salvatore Lo Piccolo, Salvatore Biondino, Fifetto Cannella, Sandro Diele, Giuseppe Fricano, Francesco Giuliano, Giuseppe Guastella, Domenico Passarello e Vincenzo Pipitone di Torretta. Il 41 bis, dopo il caso dell’anarchico Alfredo Cospito, è tornato al centro del dibattito politico con toni particolarmente accesi, che finiscono però per polarizzare l’opinione pubblica e non affrontare l’argomento nel modo più corretto. Il “carcere duro”, introdotto dopo la strage di Capaci, ha un’unica finalità: impedire ai mafiosi detenuti di poter continuare a mantenere contatti con l’esterno. Nel tempo, però, si è ulteriormente appesantito e spesso, per decisioni difformi prese dai tribunali di Sorveglianza sono stati aggiunti divieti e “punizioni” che la norma non prevede affatto. Per questo nel tempo non sono mancate le denunce per trattamenti ritenuti inumani e degradanti, sui quali è intervenuta anche al Corte Costituzionale. Regolarmente, poi, sono gli stessi detenuti al “carcere duro” a fare ricorso contro il rinnovo da parte del ministero della Giustizia.