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di Eleonora Camilli

La Stampa, 17 agosto 2023

Il presidente dell’associazione Antigone: “Servono misure alternative. La maggior parte dei reclusi ha problemi di dipendenze e psichiatrici”. Lo definisce un sistema fermo e malato dove “si sopravvive e spesso mal vive”.

Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone, tradisce la stanchezza nella voce nel dover ripetere ancora una volta, dopo anni, i problemi endemici al sistema carcere, primo fra tutti il sovraffollamento. E di una cosa è certo: “i problemi non si risolvono ampliando i posti nelle strutture” senza ripensare il sistema, che oggi è sempre più una “polveriera sociale”.

Non la convince l’idea del ministro Nordio di utilizzare le caserme per svuotare le carceri?

“L’idea delle caserme è pura propaganda, non c’è una visione, non c’è una strategia. Le misure sul carcere e sulla pena dovrebbero essere prese in nome della razionalità, non sulla scia dell’emotività”.

Non lo creda fattibile?

“Sono almeno trent’anni che mi occupo di carcere e sarà la decima volta che sento parlare di caserme. Nella pratica non è mai stato fatto per due ragioni: perché bisogna toglierle al ministero della Difesa e passarle alla Giustizia, ed è un percorso lungo. In secondo luogo, perché costa. Sono strutture semi abbandonate, quindi vanno risistemate e poi serve personale. Già le carceri ne sono carenti”.

Quale dovrebbe essere la risposta?

“Si deve intervenire prevedendo sanzioni diverse dal carcere per fatti di minore rilevanza e un reale sistema di misure alternative. Oggi la popolazione carceraria è composta in larga parte da persone che provengono dai settori più marginali della società. C’è chi ha problemi di dipendenza, chi ha una diagnosi psichica, ci sono migranti che vengono da percorsi molto complicati oppure persone che fanno parte di periferie urbane, dentro per reati di strada. Sono gli esclusi, quelli per cui il welfare non si è mai attivato. Si affida al carcere la risposta impossibile. Il sistema così pensato produce solo sofferenza, fatica e disperazione. E crea una grande polveriera sociale”.

Il ministro Nordio ha fatto anche un’apertura su una richiesta che le associazioni facevano da tempo, cioè quella di aumentare le telefonate e i rapporti con il mondo esterno…

“Ci auguriamo che si proceda velocemente e che le telefonate si liberalizzino. Le carceri vanno dotate di un maggior numero di apparecchi telefonici, così come fu fatto durante la pandemia. Una telefonata di dieci minuti a settimana, così come oggi è previsto, è una condanna all’anaffettività, alla solitudine e alla disperazione. In un momento difficile una telefonata può salvare una vita, cancellare un’ipotesi suicidaria. Bisogna farlo subito, si può fare a legislazione vigente”.