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di Maria Fiore

La Provincia Pavese, 27 ottobre 2023

Per devastazione e saccheggio gli imputati rischiano fino a 15 anni. La difesa: “Accusa ingiusta”. “Mi sono fatto 18 ore in auto, dalla Romania, per partecipare al processo. Se mi sarà permesso di parlare vorrò dire la mia: ho pagato in passato per i miei errori, ma questa accusa non è giusta e non voglio pagare anche per quello che è successo quella sera”. La sera a cui fa riferimento Peter David Dimitru, ex detenuto di Torre del Gallo, è quella del 20 marzo 2020, quando scoppiò in carcere una rivolta dei reclusi. Protestavano contro le condizioni di sovraffollamento, che avevano aggravato la diffusione della pandemia Covid, e la limitazione dei colloqui con i familiari decisa come misura preventiva. Ieri mattina per 97 di loro si è aperta l’udienza preliminare in cui sono imputati per devastazione e saccheggio, un reato che prevede da 8 a 15 anni di carcere. Per contenere tutti, l’udienza, davanti al giudice Guglielmo Leo, si è svolta alla sala dell’Annunciata, in una piazza Petrarca blindata, chiusa al transito e alla sosta delle automobili.

Le transenne sono state posizionate all’ingresso della piazza da viale Matteotti ma anche davanti all’Annunciata, dove alcune bancarelle non hanno potuto posizionarsi come al solito nella giornata di mercato e sono state collocate in un’altra zona della piazza. Disagi anche per i furgoni del carico e scarico dei negozi, che hanno dovuto trovare percorsi alternativi. Diversi agenti di polizia e carabinieri hanno svolto il servizio di ordine, controllando l’accesso alla sala, dove l’udienza si è svolta a porte chiuse. Nell’aula si sono raccolte, a partire delle 10, circa 200 persone, tra imputati, avvocati e agenti di polizia penitenziaria. Una trentina i detenuti che hanno voluto partecipare: arrivavano da Pavia ma anche da altre carceri (Monza e Alessandria in particolare) dove erano stati trasferiti dopo la rivolta. Una decina di imputati invece hanno partecipato in stato di libertà, perché nel frattempo hanno scontato le loro pene. Tre imputati sono risultati irreperibili: per loro, da tempo scarcerati, non è stato possibile risalire all’attuale domicilio.

Detenuti e familiari - Fuori dall’aula, in attesa, anche alcuni familiari di detenuti ed ex reclusi. Come Antonietta, che parlando del fratello non ha dubbi: “Un pezzo di pane, lo hanno messo in mezzo e ora che ha finito di scontare la sua pena rischia una condanna. Non è giusto. Non mi fanno entrare in aula, ma resto qui fino alla fine”. Fuori dalla sala, in attesa che cominci l’udienza, ci sono diversi imputati. “A momenti quella sera moriamo e qui ci vogliono processare”, dice un giovane. Ha i jeans strappati e sulla testa un tatuaggio con la scritta “Viva la libertà”. “Quella sera ho fatto da paciere, il magistrato che era sul posto mi chiese di intervenire con i miei compagni, per convincerli a scendere dal tetto - racconta -. Ma sul tetto eravamo andati perché c’era tanto fumo, non si respirava. Ho aiutato anche un agente che stava male. Noi volevamo solo parlare delle difficoltà che si vivevano in carcere e che si erano aggravate con il Covid, la situazione era difficile. Vogliono condannarci per questo”?

“Cambiate l’accusa” - L’udienza è durata alcune ore, ma c’è stato di fatto solo il tempo di fare l’appello degli imputati e raccogliere le eccezioni degli avvocati sulle notifiche degli atti. C’erano, in aula, una sessantina di legali (tra loro gli avvocati Francesco e Pierluigi Vittadini, che difendono una trentina di detenuti, gli avvocati Luca Angeleri, Francesca Timi, Francesca Quarto, Fabio Bruni, Maria Teresa Vitali, Fabrizio Aronica, Elena Callegari, Antonio Savio, Antonio Mariotti e Francesco Catania). Alcuni di loro hanno depositato memorie in cui chiedono la modifica del capo di accusa contestato dalla pm Chiara Giuiusa, da devastazione a saccheggio in danneggiamento. Se l’istanza sarà accolta molti imputati potrebbero decidere di ricorrere a riti alternativi. Il processo è stato rinviato al 23 novembre.

“Da vittima passo a imputato: quella sera ci furono abusi” - “Quella sera abbiamo visto la morte con gli occhi: siamo rimasti chiusi nelle celle mentre la struttura era piena di fumo per gli incendi. Le guardie quella sera hanno perso il controllo della situazione perché erano poche. Si è scatenato il panico”. Enzo Finizio si trovava a Torre del Gallo a marzo del 2020. “Ero lì da settembre - racconta -. Quella sera la situazione è sfuggita di mano. Si protestava perché c’erano diversi problemi in carcere. Qualcuno avrà anche sbagliato ma non si può trattare quella rivolta come una devastazione da parte di quasi cento detenuti”. Finizio, peraltro, si trova imputato ma anche parte offesa nell’altro filone di inchiesta, ancora in corso per alcune posizioni, che riguarda i presunti pestaggi da parte degli agenti di polizia penitenziaria. Per sette di loro il magistrato Valeria Biscottini ha chiesto l’archiviazione, ma un altro filone è ancora in corso. “Ho subito un’aggressione in prima persona - denuncia Finizio -. Andrò avanti finché potrò, per denunciare quello che è accaduto. Bisogna capire che nel carcere ci sono persone, che anche se hanno fatto degli errori non possono pagare anche per altro. Sono vite umane”. Sull’accusa di devastazione e saccheggio Finizio aggiunge: “Esagerata, c’è stato qualche danneggiamento ma la struttura presentava già parecchi problemi, che erano sotto gli occhi di tutti”.