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di Domenico Affinito e Milena Gabanelli

Corriere della Sera, 10 ottobre 2023

Saridewi Djamani era una tossicodipendente di 45 anni, nata e cresciuta a Singapore. Venerdì 28 luglio le autorità della città-stato asiatica l’hanno giustiziata perché nascondeva in casa 30 grammi di eroina. È la prima donna portata al patibolo a Singapore negli ultimi 19 anni e, per un giorno, i più importanti quotidiani internazionali sono tornati a occuparsi della pena di morte. Nei primi otto mesi del 2023 sono state “legalmente uccise” 538 persone, secondo le stime di Amnesty International.

Ogni individuo ha diritto alla vita e a non essere torturato o condannato a pene crudeli, lo ha sancito nel 1948 la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Da allora 144 Paesi hanno abolito la pena di morte, fino al 1977 erano solo 16. È ancora in vigore invece in 55 Paesi.

In Europa applicata da un solo Paese - I primi ad abbandonare le esecuzioni capitali, fra fine Ottocento e primi del Novecento, furono i Paesi del nord Europa (Svezia Norvegia, Finlandia e Danimarca). La Francia l’ha cancellata nel 1981, il Regno Unito nel 1998, la Germania Ovest nel 1949 e quella dell’Est nel 1987. In Italia fu abolita nel 1948: l’articolo 27 della Costituzione la cancellò per i reati comuni e militari commessi in tempo di pace, ma la mantenne per i reati militari in tempo di Guerra. Dal codice penale militare di guerra scomparve nel 1994 e nel 2007 fu tolta anche dalla Costituzione. Oggi l’articolo 27 dice: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Non è ammessa la pena di morte”. Nel continente europeo il solo Paese che ancora la applica è la Bielorussia, mentre la Russia nel 1997 ha firmato la “Convenzione europea” ma non l’ha mai ratificata.

A livello globale, alla fine del 2022, almeno 28.282 persone erano detenute nei bracci della morte in tutto il mondo. Le esecuzioni invece sono state 873, più di due al giorno, 13 delle quali erano donne. Il 90% sono avvenute in tre Paesi: Arabia Saudita (196), Iran (576) ed Egitto (24). Rispetto al 2021 il rialzo è stato del 53%. L’aumento è dovuto al numero delle persone giustiziate per reati di droga: 325 a fine 2022 (il doppio rispetto alle 134 avvenute nel 2021), di cui 255 sono avvenute in Iran, dove hanno rappresentato il 44% delle esecuzioni. In Arabia Saudita, messi a morte 57 condannati, e 11 a Singapore. Si tratta, comunque, di numeri al ribasso perché in Cina, Vietnam e Corea del Nord i dati sono coperti dal segreto di Stato. Secondo Amnesty in questi tre paesi ci sarebbe un buco nero con almeno un migliaio di esecuzioni all’anno.

Per quali reati si paga con la vita e dove - I reati più puniti sono omicidio volontario e aggravato, spionaggio, alto tradimento, terrorismo e traffico di droga. Quest’ultimo è punito con la vita in quattro stati (Arabia Saudita, Cina, Iran e Singapore) in violazione del diritto internazionale, che proibisce l’uso della pena di morte per crimini che non raggiungono la soglia dei “reati più gravi”. In 13 paesi islamici finisce sul patibolo anche chi rinnega la fede. Gli omosessuali in Iran, Yemen, Arabia Saudita, Nigeria, Sudan, Somalia, Uganda. Lapidazione per le donne adultere negli Emirati Arabi, Arabia Saudita, Pakistan, Afganistan, Yemen, Iran. Brunei, Nigeria e Sudan. La violenza sessuale è punita con la morte in Arabia Saudita, Bangladesh, Egitto, Iran, Pakistan e India, dove comunque i casi di stupro sono più che raddoppiati negli ultimi 10 anni (da 8.500 a 19.700). Ma finiscono a morte anche i corrotti in Vietnam e Cina.

Di tutti i Paesi che praticano la pena di morte solo l’Arabia Saudita usa il metodo della decapitazione. L’impiccagione è utilizzata da Bangladesh, Egitto, Giappone, Iran, Iraq, Myanmar, Singapore, Siria e Sudan del Sud. Negli Stati Uniti e in Vietnam si usa l’iniezione letale. Negli altri Paesi la fucilazione. In Cina è praticata sia l’iniezione letale sia la fucilazione, ma soprattutto è l’unico Paese che per 35 anni, dal 1980 al 2015, ha permesso l’espianto di organi dai detenuti condannati a morte anche senza il loro assenso. Secondo uno studio del 2022 pubblicato dalla rivista scientifica American Journal of Transplantation e dal Wall Street Journal, basato su 3000 documenti cinesi, molto spesso la procedura medica aveva inizio prima ancora che il condannato fosse “giustiziato”. In altre parole: “Erano i medici stessi a togliere la vita al detenuto con i loro bisturi”. Le operazioni portate a termine da oltre 300 medici in 56 ospedali della Repubblica Popolare, sono state migliaia.

Le violazioni al diritto internazionale - Il Patto internazionale sui Diritti Civili e Politici del 1966 e del 1989 proibisce la pena capitale per i reati meno gravi, per quelli commessi da minorenni o disabili o quando non v’è stato un giusto processo. Nel 2022 l’Iran ha messo a morte almeno 5 persone per reati commessi quando erano minorenni; detenuti minorenni all’epoca dei fatti sono nei bracci della morte di Arabia Saudita, Iran e Maldive. Disabili mentali sono stati condannati a morte in Giappone, Iran, Maldive e Stati Uniti d’America. In almeno 16 Paesi le condanne sono state inflitte dopo procedimenti giudiziari non in linea con gli standard internazionali sul giusto processo (Afghanistan, Arabia Saudita, Bahrein, Bangladesh, Bielorussia, Cina, Corea del Nord, Egitto, Iran, Iraq, Malesia, Myanmar, Pakistan, Singapore, Vietnam e Yemen). In Arabia Saudita, Egitto, Iran e Yemen le incriminazioni e le sentenze capitali sono basate su confessioni estorte con tortura.

I piccoli passi avanti - Il 2022 è anche stato l’anno nel quale sono stati compiuti alcuni progressi. Kazakistan, Papua Nuova Guinea, Sierra Leone e Repubblica Centrafricana hanno abolito la pena di morte per tutti i reati, Guinea Equatoriale e Zambia l’hanno abolita per reati ordinari ma non per quelli militari. In Indonesia il nuovo Codice penale, che entrerà in vigore nel 2026, consente la commutazione delle condanne a morte in ergastolo a determinate condizioni. A dicembre all’Assemblea generale delle Nazioni Unite 125 paesi, quasi due terzi, si sono espressi a favore di una moratoria universale contro le esecuzioni, in vista della completa abolizione della pena di morte. Gli Stati Uniti hanno votato contro, insieme a Iran, Cina, Vietnam, Corea del Nord, Arabia Saudita, Iraq e altri 30 Paesi, mentre in 22 si sono astenuti. È una pessima notizia, ma comunque un piccolo passo avanti se consideriamo che lo stesso voto nel 2018 e nel 2020 si era fermato a 120 nazioni.

Il caso Stati Uniti - Gli Stati Uniti sono l’unico Paese occidentale che applica la pena di morte, nonostante sia stato tra i primi Paesi al mondo dotarsi di una carta dei diritti fin dal 1785, la Bill of Rights. Nonostante sia il Paese delle grandi battaglie civili del Novecento: quella contro la segregazione, quella del Free Speech Movement degli studenti di Berkley nel 1965 che ha dato il via al movimento pacifista contro la guerra in Vietnam. Nel 1972 ci fu uno stop, a seguito di una sentenza della Corte Suprema che dichiarava la pena di morte incostituzionale. Però nel 1977 la Corte tornò sui suoi passi annullando la sentenza. Da allora è stata una lenta risalita.

Oggi su 50 Stati ben 13 continuano ad usarla per punire gli omicidi volontari, mentre in altri 14 è prevista ma da dieci anni non ci sono esecuzioni. Nel 2022 sono state 18 le “iniezioni letali”, 17 delle quali concentrate in sei stati: Alabama, Arizona, Mississippi, Missouri, Oklahoma e Texas. Nello stesso anno ci sono stati 21 nuovi condannati al braccio della morte. Un segnale positivo invece è arrivato dall’Oregon, dove la governatrice Kate Brown poco prima della fine del mandato, con un unico atto, ha commutato in 17 condanne a morte in ergastolo.

Negli Usa anche la giustizia federale prevede la morte per una serie di reati (omicidi plurimi, torture, atti terroristici, dirottamenti che hanno come conseguenza la morte di una o più persone, traffico di droga su larga scala, omicidio di un cittadino americano in un atto di terrorismo commesso in un altro Paese), ma la esercita poco. Negli ultimi 20 anni le uniche 13 sentenze capitali eseguite dal governo federale sono avvenute tra il luglio 2020 e il gennaio 2021 sotto l’amministrazione Trump. Da luglio 2021 Biden ha invece imposto una moratoria. voluta da Biden. Sta di fatto che ad oggi sono 2.276 i condannati nei bracci della morte delle carceri statunitensi, 48 sono donne.

Il criminale teme la pena di morte? Centinaia di studi scientifici hanno dimostrato che la pena capitale non riduce il numero dei crimini. Spiegano i criminologi: chi commette crimini efferati è sotto l’effetto di alcol, droga o talmente accecato da non considerare cosa rischia. Analizzando i dati del Death Penalty Information Center appare evidente che non c’è correlazione tra pena di morte e deterrenza: in metà degli stati dove la applicano il tasso di omicidi è superiore alla media nazionale, nell’altra metà restano stabili. Nel 2020 in Connecticut e Maine, Stati senza la pena di morte, il numero di omicidi è stato rispettivamente di 1,6 e 3,9 ogni 100mila abitanti. In Mississippi, Missouri e Louisiana, che prevedono la pena di morte, è stato di 10,6; 11,8 e 15,8. Poi c’è il tema razziale. Dal rapporto 2020 del Death Penalty Information Center, da quando nel 1977 sono riprese le esecuzioni, 295 imputati afroamericani sono stati giustiziati per omicidi di vittime bianche, mentre solo 21 imputati bianchi sono stati giustiziati per omicidi di afroamericani. E infine: qual è il grado di certezza aldilà di ogni ragionevole dubbio, quando un condannato a morte si dichiara innocente? Negli ultimi 50 anni negli Usa 193 condannati a morte sono stati riconosciuti innocenti. Venti dopo l’iniezione letale. Se finisci in carcere e sei innocente puoi sempre essere prosciolto ed ottenere un risarcimento, ma se la pena era la morte...Un paese civile condanna i criminali a scontare la pena, anche per tutta la vita, ma non la toglie.