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di Rosanna Mancinelli

esperienzeconilsud.it, 17 marzo 2023

La detenzione femminile in Italia riguarda il 4-5% della intera popolazione detenuta. Gli Istituti esclusivamente femminili sono solo quattro (Trani, Pozzuoli, Roma-Rebibbia e Venezia-Giudecca) mentre la maggior parte delle donne è ristretta in sezioni all’interno di carceri maschili non sempre idonee ai bisogni di genere.

Le detenute godono di scarsa attenzione sia per quanto riguarda i bisogni di salute riguardanti la prevenzione e i trattamenti di varie patologie femminili, sia per quanto riguarda le opportunità di lavoro, studio e formazione che sono disponibili alle donne in misura ancora minore rispetto agli uomini.

Inoltre non c’è ancora sufficiente consapevolezza del fatto che il benessere e la salute delle donne sono significativamente influenzati da un complesso di fattori non solo biologici ma anche sociali, etici e di appartenenza culturale che implicano anche il peso dello stigma sociale. Ad oggi, anche nell’Amministrazione penitenziaria sta emergendo sempre più la consapevolezza di questa disparità e la necessità di approfondire le conoscenze in tema di differenze di genere al fine di modulare l’intervento riabilitativo in relazione ai bisogni.

In generale le donne sentono più degli uomini il peso della separazione dalla propria realtà sociale e della responsabilità affettiva verso i familiari perciò la forzata lontananza soprattutto dai figli, è una delle cause di maggior sofferenza per le detenute che sono oppresse dal senso di colpa.

Dal punto di vista biologico, poiché le donne vivono direttamente i ritmi della vita attraverso la ciclicità delle mestruazioni, la gravidanza e la maternità, l’invecchiamento e la menopausa, risentono più duramente rispetto agli uomini della innaturalità del tempo in carcere che sconvolge anche i tempi del loro corpo.

Non a caso i disturbi del ciclo mestruale sono il primo sintomo che compare nello stato detentivo. Le donne sono biologicamente più vulnerabili alla depressione: nella popolazione generale si stima che le donne ne soffrano in misura doppia rispetto agli uomini e l’OMS considera questa malattia la principale causa di disabilità per le donne nel mondo. La detenzione favorisce in modo significativo l’insorgere di tale patologia tra le donne in carcere.

D’altro canto però, femminilità non significa sempre e solo vulnerabilità. Le caratteristiche femminili quali empatia, capacità di relazione, resilienza, creatività, energia vitale e attitudine alla cura sono punti di forza su cui intervenire con iniziative genere-specifiche.

Ne è esempio emblematico la recente realizzazione della casa-rifugio “M.A.M.A. Modulo per l’affettività e la maternità” dove le detenute madri possono ritrovare un proprio spazio ed un difficile ma possibile equilibrio psico-fisico tra la condizione di madre e quella di detenuta e quindi ottenere un maggiore indice di “benessere”.

La formazione, punto cardine per il miglioramento del benessere psico-fisico e quindi della salute della persona, può essere implementata e orientata verso conoscenze e attività più consone alla femminilità ad esempio incentivando le attività artigianali che valorizzano capacità creative e manualità, come pure è possibile promuovere l’attività motoria e sportiva per trovare un nuovo e migliore rapporto con il proprio corpo e con la propria immagine.

Anche imparare a mangiare in modo sano e acquisire abitudini salutari possono essere strumenti positivi per il benessere e la cura di sé e degli altri: ad esempio sapere che l’uso di bevande alcoliche può essere nocivo per la salute femminile molto più che per l’uomo, e che l’alcol è un teratogeno assolutamente da non consumare in gravidanza per evitare al nascituro gravi ed irreversibili danni da esposizione alcolica fetale, può motivare la donna ad assumere ed insegnare ai suoi cari comportamenti più salutari.

Oggi alla luce delle conoscenze scientifiche in tema di differenze di genere sia dal punto di vista fisico che psicologico, è possibile ripensare in un’ottica di genere gli interventi strutturali all’interno nella popolazione detenuta per favorire il cambiamento, utilizzare il tempo della pena come tempo della cura e restituire alla libertà uomini e donne più consapevoli di sé e del proprio ruolo all’interno della famiglia e della società.