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di Paola Rossi

Il Sole 24 Ore, 28 ottobre 2023

Il giudizio di legittimità può solo vagliare la presenza di una completa motivazione sulla prognosi di mancato adeguamento alle prescrizioni alternative al carcere. Le pene sostitutive di quelle detentive brevi sono applicate dal giudice in base a una valutazione squisitamente di merito che s’incentra sul contenimento o l’annullamento del rischio di recidiva da parte del condannato. Il giudice sostituisce quindi la sanzione penale detentiva con una misura maggiormente finalizzata alla rieducazione e risocializzazione del condannato che deve però - in base a un giudizio prognostico del giudice - essere ritenuto capace di rispettare le prescrizioni imposte in alternativa al carcere.

Spiega la Corte di cassazione penale - con la sentenza n. 43622/2023 - che in caso di diniego della pena sostitutiva il giudice di legittimità potrà solo verificare che la sentenza di merito contenga adeguata motivazione sul punto illustrando i motivi per cui non è possibile assumere un giudizio prognostico favorevole all’ipotesi che il condannato si adegui alle prescrizioni sostitutive dettate dal giudice e dai programmi riabilitativi imposti.

Di fatto il ricorrente chiedeva l’applicazione dell’articolo 20 bis del Codice penale introdotto dalla Riforma Cartabia. Novella legislativa che ha ampliato la categoria delle pene detentive brevi portando il massimo della condanna da due a quattro anni.

La graduazione tra pena e istituto applicabile nel singolo caso - a titolo di pena sostitutiva - è attualmente la seguente:

- in caso di condanna entro i 4 anni sarà applicabile la semilibertà sostitutiva o la detenzione domiciliare sostitutiva;

- in caso di condanna fino a tre anni sarà applicabile il lavoro di pubblica utilità sostitutivo;

- in caso di condanna non superiore a 1 anno sarà applicabile la pena pecuniaria sostitutiva.

Ovviamente, come è noto, la Riforma ha esteso i casi di sostituzione della detenzione pena eminentemente punitiva con pene mirate - in ossequio al principio costituzionale dell’articolo 27 della Carta - alla rieducazione e risocializzazione di chi ha commesso un reato. Ma, come spiega la Cassazione, tale finalità diviene perseguibile solo se la sostituzione non vanifica il fondamento anticrimine della pena cioè evitare la ripetizione del medesimo o di altri reati. Il rischio di recidiva è quindi l’argine non superabile che porta a disconoscere l’applicabilità della sostituzione del carcere con un diverso percorso riabilitativo del condannato. Nello svolgere tale disamina prognostica il giudice decide anche se optare o meno per la sospensione condizionale della pena comminata.

Va, infatti, ricordato che dalla Riforma risultano non cumulabili il beneficio della sospensione condizionale con i trattamenti sostitutivi della detenzione. Prima della Riforma il limite della condanna che consentiva l’applicazione della pena sostituiva e della sospensione condizionale era il medesimo. E soprattutto erano cumulabili. Invece ora l’articolo 61 bis della legge 689/1981 introdotto dalla riforma Cartabia pone il divieto di cumulo e comporta che il giudice in base al rischio di recidiva anche medio tempore opti per uno o per l’altro degli istituti. La sospensione condizionale è una sorta di monito ad astenersi dalla commissione di nuovi reati in base alla concessione una tantum del beneficio. Invece, la pena sostitutiva - come precisa la Cassazione - opera al raggiungimento del fine rieducativo del condannato risultando più idonea al contenimento del rischio di recidiva.