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di Paola Rossi

Il Sole 24 Ore, 22 marzo 2023

Il giudice, nell’applicazione del nuovo regime delle pene sostitutive previsto dalla Riforma Cartabia anche per i processi pendenti al momento della sua entrata in vigore, non può disattendere la richiesta dell’imputato di sostituzione della pena detentiva breve, per il solo fatto che la domanda non è corredata dalla richiesta formale e dalla presentazione di un programma già definito con uno degli enti preposti allo scopo. Nulla osta che in una situazione in cui - come quella verificatasi nel caso concreto - la domanda venga avanzata in assenza di una definizione individuata della pena sostitutiva il giudice disponga l’esame della questione a successiva udienza cosiddetta di sentencing dedicata proprio a tale esame completo.

Come afferma la Corte di cassazione penale - con la sentenza n. 11980/2024 - in un caso come questo il giudice di appello investito della domanda avrebbe dovuto procedere alla fissazione dell’udienza di sentencing. L’ampliamento del regime anche ai processi pendenti nella fase di merito - in primo grado o in appello - va applicato con l’interpretazione più estensiva possibile. Cioè favorendo - anche in caso di processo già pendente alla data del 30 dicembre 2022 - la maggiore applicabilità possibile dei nuovi metodi di espiazione della pena detentiva breve.

La Cassazione nell’accogliere il ricorso sottolinea l’importanza di seguire la nuova cultura - anche di rilievo internazionale - che si oppone a quella da definire ormai superata e che gli ermellini appellano come “carcerocentrica”. La detenzione breve è spesso, infatti, un’esperienza che può avere risvolti più negativi che altro senza neanche costituire una vera garanzia contro il rischio di recidiva. Mentre l’espiazione in ambiti condivisi con persone “libere” può meglio assicurare il compimento di un percorso rieducativo di chi si è macchiato di un reato.

Nel caso ora rinviato a giudizio la Cassazione stigmatizza il comportamento del giudice che investito della questione aveva ritenuto di non poter stabilire sull’applicazione della pena sostitutiva invocata dalla difesa, in quanto non risultavano enti disponibili a seguire il programma rieducativo e questo non era stato ancora puntalizzato all’atto della domanda. Allo stato degli atti il giudice ha deciso di disattendere per la sua incompletezza la richiesta di applicazione della misura sositutiva e però ha mancato - come precisa la Cassazione - di disporre la trattazione rinviandola a successiva udienza. Nella scelta ora bocciata dalla Cassazione il giudice aveva ritenuto di applicare il Protocollo adottato dagli uffici giudiziari milanesi, dall’ufficio interdistrettuale per l’esecuzione esterna e dal Consiglio dell’Ordine degli avvocati e della Camera penale di Milano, in particolare dove detta il criterio della tempestività nella presentazione della documentazion inerente la domanda. La Cassazione precisa che tale criterio non può superare l’ispirazione legislativa tesa alla maggiore applicazione possibile delle nuove pene sostitutive e che rappresenta al più un’indicazione, ma non un presupposto previsto a pena di decadenza. Ciò che tra l’altro nell’ordine delle fonti normative non potrebbe prescrivere un Protocollo d’intesa.

Infine, neanche la circostanza che il difensore, nominato la mattina stessa dell’udienza, fosse sprovvisto di procura speciale giustificava il rifiuto de plano di applicazione della sostituzione. Anche tale presupposto poteva ben essere reintegrato a seguito di fissazione di nuova successiva udienza. La Corte d’appello viola, quindi, la ratio della norma transitoria della Riforma se non fissa l’udienza di sentencing e decide per la decadenza dell’accesso alla pena sostitutiva a fronte della mancata disponibilità delle associazioni, contattate la mattina dell’udienza, a utilizzare le prestazioni dell’imputato.