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di Corrado Zunino

La Repubblica, 25 aprile 2022

Alla fine di una lunga giornata e una lunga marcia, questa di 24 chilometri, la “Perugia-Assisi” torna al centro. Alla vigilia di un 25 aprile carico di veleni e dopo tre anni di sosta pandemica, la Marcia per la pace riempie le strade di Francesco, il santo, il pacifista ante litteram.

Gli organizzatori diranno che erano in cinquantamila a sfilare, la questura di Perugia ne dimezzerà i numeri, ma il comitato promotore della camminata straordinaria, la numero 26 partendo dalla prima del 1961, è riuscito in diversi risultati. Ha tenuto sul retro, poco visto, il disegno-manifesto equidistante (le pallottole bianche e nere, sparate allo stesso modo dall’aggressore russo e l’aggredito ucraino). E ha dato una solidarietà utile, e sufficientemente chiara, al popolo invaso. Flavio Lotti della Tavola della pace, con una grande bandiera gialla e blu alle spalle, ha detto: “Marciamo per gli ucraini”. Poi ha aggiunto: “Per i deboli che non sono riusciti ad andarsene dal Paese, per le vittime di tutte le guerre”.

Dalle 9 di ieri mattina, con i pullman arrivati ai Giardini del Frontone di Perugia, fino alle tre del pomeriggio, l’approdo nella Piazza inferiore della Basilica di Assisi, non si sono sentiti cori anti-Nato, ma non si sono viste neppure le annunciate bandiere in favore dell’Alleanza nordatlantica che, oggi, rifornisce di armi l’esercito di Volodymyr Zelensky. In una giornata di vento e di sole intermittente si è potuto assaporare il pacifismo italiano catto-progressista che, tra molti arcobaleni, alcuni cuciti come coperte di lana, ha portato in strada il sindacato civile, dalla Uil alla Fiom passando per la Cgil, qui con il segretario Maurizio Landini.

Ha quindi mostrato i cartelli di Amnesty International, gente che lavora tra le mine del Donbass e non ha dubbi sul fatto che gli omicidi dei civili a Bucha non fossero una messinscena: “Giustizia per i crimini di guerra”, si leggeva. Lo striscione che apriva la lunga marcia aveva la scritta - non troppo impegnativa - “Fermatevi”. Intendeva tutti, s’intende la guerra in Ucraina. Ma era affidato a uno stuolo di adolescenti, a segnalare chi sono le vittime più vergognose dell’invasione russa. Sulla strada Tiberina c’erano le casacche rosse dei City Angels e trenta delegazioni universitarie, guidate dall’Ateneo di Padova che dal 1982 organizza, con successo, un corso di Diritti umani. C’erano 156 sindaci e si ascoltavano le canzoni di Lucio Battisti - “la fiamma è spenta o accesa?”. Si è vista Sinistra italiana, poi la vecchia Rifondazione comunista (l’unica a dirsi “contro Putin e contro la Nato”), i Verdi. Non c’era l’ombra, invece, di un vessillo del Pd.

Le parole di Padre Enzo Fortunato, per ventott’anni portavoce di tutto questo - “Vladimir Putin è l’aggressore, ma in nome della pace dobbiamo chiamarlo fratello” -, sono semina tra questa gente. Landini ne ha raccolto l’umore e alla partenza ha detto: “Il percolato della guerra è già tra noi, con l’inflazione che cresce, le bollette che aumentano e una dissennata rinuncia a un vivere sostenibile e ambientale. Dobbiamo uscirne al più presto”. Ovviamente il modo, ancora, non c’è.

Con Papa Francesco che non riesce a fermare le omelie filorusse del patriarca di Mosca, Kirill, ma davanti ai quarantamila fedeli di Piazza San Pietro vuole salutare l’evento in Umbria: “Ringrazio i partecipanti alla straordinaria marcia per la pace e la fraternità e quanti vi hanno dato vita ad analoghe manifestazioni in altre città d’Italia”. Il modo per fermare questa guerra, no, ancora non c’è quando il presidente zar, Vladimir Putin, porta una mano al cuore durante la celebrazione a Mosca della Pasqua ortodossa e con l’altra autorizza il bombardamento di Odessa. Dice Flavio Lotti: “Noi non abbiamo nemici e c’è un altro modo per aiutare il popolo ucraino: togliere la parola alle armi e darla alla politica”.